Nota: una parte degli articoli è stata archiviata. Per vedere gli articoli più vecchi clicca qui.
Ultime news dal Lazio e dall'Abruzzo del 04.02.2012
Lettera all'Assessore Regionale della Puglia del 01.07.2011
Spiragli di vera luce o..tempesta! di Gryzly 1940
Aperta la caccia: si spara a tutto ed a ...tutti! di Domenico Ubaldi
...per buona pace di tutti i cacciatori (Comunitaria "Provvedimento Omnibus") di CPAD
Se i luminari sono imprecisi di Giorgio Prinzi
Il professore scomodo escluso da Anno Zero di Giorgio Prinzi
Il Torio può sostituire uranio e plutonio come combustibile nucleare e dil nostro Paese ne è ricco Giorgio Prinzi intervistato da Marina Bartella
Abusi in controlli, arrestate guardie e dirigente WWF
A Bali gli USA raffreddano il clima di Antonio Gaspari
Come si diventa climatologi famosi, raccontato da uno di loro di Vincenzo Ferrara (da http://wwww.svipop.org)
Al direttore de "Il Messaggero di Domenico Ubaldi
E adesso dicono che l'estate è finita di Riccardo Cascioli
Dittatura ecologista
WWF, Il solito procurato allarme di Riccardo Cascioli (da http://wwww.svipop.org)
L'ultimo libro di Crichton potrebbe far cadere l'ideologia catastrofista (da GWN del 2005)
Impianti eolici per produrre energia? La caduta di un mito... (da GWN)
Quando gli impianti eolici diventano pericolosi (da GWN)
Ciò che dovete sapere sulle Cacce in deroga
Il ritorno al nucleare è una necessità economica imprescindibile per l'Italia di Antonio Gaspari (da GWN n° 15 del 2005)
Crichton mostra che il protocollo di Kyoto è una bufala da La Repubblica del 10-05-05
Il "soldo che ride" - L'«allegra» gestione del Parco Nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise) di Antonio Gaspari
C.P.A.D.: Il fuoco sotto la cenere di Domenico Ubaldi
"Per l'ennesima volta non capisco l'euforia degli ambientalisti che continuano con ostinazione a cantare vittoria nei confronti della Regione Abruzzo quando in realtà non hanno vinto nessuna battaglia". Questa la risposta dell'assessore alle Politiche Agricole e Caccia, Mauro Febbo, all'indomani della manifestazione organizzata da Dante Caserta del WWF.
"Non solo non c'è motivo di brindare - sottolinea Mauro Febbo - ma voglio ricordare agli ambientalisti e animalisti che il percorso di questo assessorato è stato improntato al massimo grado di professionalità ed efficienza, in quanto ogni scelta è stata effettuata sulla base delle più autorevoli pubblicazioni scientifiche e previa consultazione dei massimi organi competenti in materia. Infatti, la Direzione, lo sottolineo ancora una volta, si è scrupolosamente attenuta alle indicazioni dei documenti della Comunità Europea (key concepts e Guida alla Disciplina sulla caccia della Commissione europea).
Questo assessorato non ha mai inteso regolamentare la caccia attraverso una legge regionale. Forse Caserta si riferisce all'iniziativa di alcuni consiglieri di minoranza che hanno presentato l'anno scorso una proposta di legge per la regolamentazione dell'attività venatoria mai discussa. Invito, pertanto, Caserta a studiare la differenza tra gli organi della Regione quali la Giunta e il Consiglio. Caserta si ostina ad argomentare - precisa Mauro Febbo - sulla sospensione del Tar sui due punti (solo due su nove impugnati) del calendario venatorio, riguardanti le date di chiusura della caccia per alcune specie.
Ribadisco che tale provvedimento di sospensione cautelare e non di condanna da parte del TAR si è palesata solo perché la Regione, a giudizio del tribunale, non ha adeguatamente motivato la scelta di discostarsi dalle prescrizioni ISPRA.
A tal riguardo, voglio precisare che le date fissate dal calendario della Regione Abruzzo erano perfettamente coerenti con le indicazioni scientifiche a livello europeo, mentre l'organo scientifico nazionale di riferimento, l'ISPRA, fissa date e periodi più restrittivi, ai quali comunque la Regione ha provveduto ad adeguarsi. Invece - conclude l'assessore alla Caccia - le associazioni e Caserta volutamente tacciono su quelle che sono state le vittorie dell'assessorato in materia di gestione faunistico venatoria. Ricordo che è stato avviato l'iter per l'attivazione dell'OFR (Osservatorio Faunistico Regionale), la cui regolamentazione è ora al vaglio della competente commissione regionale, con la partecipazione e il plauso delle massime autorità scientifiche in materia".
"Un decreto illegittimo per far contenti quattro cacciatori".
Non le manda a dire Esterino Montino. Il capogruppo del Pd in Regione Lazio interviene dopo che la presidente Renata Polverini ha firmato un documento che proroga la caccia al 9 febbraio per quattro specie.
"A rimetterci letteralmente le penne - afferma Montino - sono il colombaccio, la cornacchia grigia, la gazza e la ghiandaia. Contro questa avifauna si può far fuoco per tutto il mese di gennaio e fino a quasi la metà di febbraio. Nessuna delle associazioni dei cacciatori è stata consultata, tranne evidentemente la frangia degli ultras".
Un documento firmato a notte fonda e poi pubblicato nella mattinata di ieri, sabato 21 gennaio, sul sito della Regione. Un gesto che per Montino avrebbe un unico scopo. "La presidente Polverini ha sottoscritto il decreto autorizzativo contando sulla distrazione del weekend. La decisione fa parte di quel pacchetto di azioni che questa giunta sta mettendo in atto al fine di creare tensioni su tutti i fronti. Anche su quello dei cacciatori".
Per il capogruppo del Pd, il provvedimento sarebbe, inoltre,irregolare. "Il decreto è solo un "piacere" perché è palesemente illegittimo. Viola la sentenza del TAR che aveva già bocciato il calendario venatorio lassista approvato dalla giunta. Viola le norme nazionali e viola quelle europee".
Montino ha dunque chiesto di revocarlo prima della diffusione."E' scontato che già lunedì sarà presentato un nuovo ricorso - conclude -, ma ho l'impressione che il decreto proprio per le tante violazioni che contiene, contenga anche gli estremi per un intervento della magistratura. Tutto per far contenti non i cacciatori, ma i fanatici della caccia a tutti i costi e comunque. Sarebbe il caso di ritirarlo, prima di pubblicarlo sul bollettino regionale".
Sarebbe anche interessante capire se esiste un assessore al ramo o se fa solo tutto quello che decide la Polverini.
da tusciaweb.
Gentilissimo Assessore Stefano, le inviamo questa missiva che raccoglie i consensi unanimi di centinaia di cacciatori appartenenti alle Associazioni Venatorie della BAT firmatarie del presente documento.
Nell'ultimo decennio la nostra categoria ha subìto una serie di attacchi che, anche a causa di incomprensibili provvedimenti legislativi, hanno finito per limitare in maniera pesante il legittimo esercizio dei nostri antichi diritti: aperture posticipate, limitazioni di specie cacciabili, istituzione di parchi e zps, sottrazione delle giornate a scelta, imposizioni fiscali, zone a vincolo, riduzione di giornate cacciabili e chiusure anticipate rappresentano solo una minima parte dei veti imposti dalla legge.
Non è più possibile continuare su questa strada. Noi vogliamo un dialogo più civile, condiviso tra gli Enti competenti e tutte le Associazioni libere di pensiero, affinché si possa assicurare quella forma di governo la cui sovranità spetta concretamente a tutti, e non a pochi. Vogliamo una caccia rigorosa e onesta, civile e moderna, culturalmente elevata, scientificamente corretta ma fatta di gente onesta e competente, le cui decisioni devono rispettare il pensiero di tutti e non dei soliti pochi.
Pertanto, prima che la macchina legislativa regionale ponga ulteriori limitazioni e veti ai nostri diritti civili, le Associazioni Venatorie Riunite della BAT , Caccia Pesca Ambiente Domani, Libera Caccia, Federcaccia, Enal Caccia, Enal Caccia Pesca e Tiro, ANUU Migratoristi, Arci Caccia, che per ratifica sottoscrivono il presente documento, Le chiedono un'audizione urgente a mezzo di una delegazione di cacciatori nominata in seno alla stesse.
In attesa di una Sua sollecita e positiva risposta alla richiesta di cui sopra, l'occasione ci è gradita per porgerLe distinti saluti.
Come al solito pura e semplice demagogia, visto che il Ministro non risulta affatto estensore della meravigliosa legge oggetto di tante cure, che tanta “serenità e prosperità” ha prodotto nell’amato mondo dei soliti unici “protettori” di Kartoffel!
Infatti, il tanto decantato “sistema” della caccia programmata ha prodotto quello che oggi tutti condannano: ex spazi destinati a discariche pubbliche non autorizzate; villaggi abusivi; parchi ed oasi per la protezione di ratti, cani randagi ed altro..; proliferazione di aziende faunistiche a pagamento su terreni demaniali; incendi e rovine ovunque!
Tutto questo al sol fine d’individuare “spazi” per la fauna; ma dove sono quelli destinati all’esclusivo uso venatorio? Si possono considerare tali i famosissimi A.T.C.? Possono paragonarsi ai vecchi e gloriosi “Compartimenti venatori”? Io dico di NO!
La loro istituzione, solo sulla carta, è stato uno dei tantissimi modi d’estorcere ulteriori ed illegali “balzelli” sempre e solo ai carissimi Cacciatori; mai un soldino è stato chiesto ai grandi Protettori! Aver circoscritto le aree venatorie in rapporto al numero dei Cacciatori residenti nella Provincia è stato un gravissimo errore, che si continua a perpetuare!
Una buona Legge deve tener presente che non si può vietare tutto, concedendo solo restrizioni con tanta…. tanta burocrazia che, in pratica, annulla solo la LIBERTA’!
La Fauna non conosce frontiere, che non possono essere imposte ai veri seguaci di S.Uberto, che chiedono solo “Norme precise e concise”; conoscenza ed educazione di tutti gli Attori; rispetto reciproco tra Cacciatore e Mondo agricolo, con l’esclusione di tanti personaggi che nulla hanno a che fare con esso; le risorse proveniente dal mondo venatorio siano tutte impegnate in quello agricolo - faunistico; creazione di ampie aree da destinare sia ad Oasi di ripopolamento che a quelle per l’esercizio venatorio specifico; le aziende faunistico-venatorie devono essere insite in aree di proprietà esclusiva del soggetto privato, su territori adeguati alla vita della fauna prefissata, eventualmente, anche finanziate con pubblico denaro in rapporto ai risultati conseguiti e col consenso espresso con votazione degli iscritti alle locali Associazioni venatorie; quest’ultime devono essere costituite da soli Cacciatori praticanti, da esperti in botanica e zootecnia e quanti veri interessati e conoscitori del mondo Agro-pastorale-faunistico, designati quali rappresentati dalle Aziende agricole e pastorizie e non da quelle faunistico-venatorie, private del diritto di voto.
Tutte le aree demaniali, anche se la loro gestione sarà trasferita agli Enti locali, dovranno conservare quella caratteristica di proprietà della collettività nazionale; favorire in esse istituenti Aziende agricole pastorali per fini economici, senza deturpazione del loro stato d’origine, con prevenzione d’incendi e abusivismo turistico residenziale; utilizzare specifiche zone per l’uso venatorio con limitazioni d’esercizio e di capi da abbattare, in relazione alle disposizioni che di volta in volta si renderanno necessarie adottare, sempre indirizzate alla preservazione sia della fauna e sia del sito.
Altre aree potranno sempre essere aperte al libero esercizio venatorio o “libera caccia”, nell’assoluto rispetto delle norme e, conseguentemente, di quelle naturali, che solo i veri Cacciatori, unitamente a tutti coloro che si ritengono e professano uomini civili, hanno interesse ed amore a custodire e preservare per le future generazioni!
Mantenere l’attuale Legge 157/92 così com’è, rappresentarebbe solo proseguire in sterili dibattiti con la solita “salsa” dell’atavica italica demagogia, mantenendo lo status quo! Infatti lo si denota dal gran polverone sollev ato dall’ala protezionistica alle pur velate e, quasi inutili, riforme proposte dagli Onorevoli Berlato ed altri!
Quando si è sulla “china” è molto difficile risalire; forse, sarebbe più facile scalare l’albero della cuccagna! La riprova di quanto asserito, la si denota dalle precedenti leggi:
Si evince la “scivolata e l’assenteismo” sono i principali fattori che denotano lo stato in cui oggi ci si trova!
Come si può pensare che nel nostro territorio esistato animali selvatici che producono danni all’agricoltura, ungulati, quando sono considerati tanto pericolosi da segnalarne la presenza con cartelli,(“Pericolo Cinghiali - Lupi - Orsi”), dimenticando di aggiungervi i “cani randagi, veri ed unici animali assassini!
Non è affatto credibile che al mondo agricolo vengano arrecati danni anche da “Pappagalli”, (Non quelli sanitari ), da castori o roditori simili, abbandonati dai loro proprietari; la vera reale minaccia consiste nello sproporzionato numero di storni, columbidi, oltre alle volpi, tutte specie rigorosamente protette! Chi non ricorda la normativa protettiva degli “storni” emanata dal caro amico Ministro dell’Ambiente nel 1993? (Governo Amato e Ripa di Meana).
Quello che conta è la pronta e viva presenza delle Istituzioni, il risarcimento sicuro e rapido dei danni subiti e dimostrati! Le rimesse del mondo venatorio servono a questo! Inoltre, se i Proprietari terrieri vogliono anche farsi assicurare, si rivolgano alle Autorità locali! Anche la Regione e percettrice d’imposte e, quindi, le spenda in maniera consona ed a favore di chi tutela realmente l’ambiente!
Si denota un chiaro scollamento tra le direttive CEE e le nostre, che comunque devono tener conto della posizione geografica nel Mediterraneo e, quindi, molto differente dalle esigenze del centro-nord Europa!
Nonostante le “diversità” geologiche, nessun Paese europeo sembra abbia adottato Calendari venatori simili ai nostri! La Regione Puglia è principe nella diversità ed estrosità, visto che oltre ad indicare divieti e limitazioni varie, enuncia e quantifica tasse locali, in modo illogico visto che il “Contributo” per essere tale deve essere libero e non quantificato ed imposto! E’ sconcertante anche l’imposta restrizione temporale della Tassa di C.G., non più valida 12 mesi dalla data della precedente emissione, nel periodo di validità sessennale della stessa licenza (dPR 641/72 - Tariffa - art.5)!
Non si comprende il motivo per cui si debba continuare a “fare e disfare”: la legge 133/2008, convenzione del decreto-legge 212/2008, con l’art.28 ha istituito l'Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), accorpando l’APAT, l’ ICRAM e l’INFS; tra i tanti Ministri, non risulta esserci quello delle politiche agricole, alimentari e Forestali, che oggi chiede lo “scoporo” dell’INFS a meno di un anno dalla modifica apportata! Perché tutto questo disarticolato modo di gestione?
Si richiama alla memoria la logica presenza del Ministro del Mare Paolo Emilio Thaon Di Revel nella stesura del T.U. 1016/1939! Infatti solo l’acqua genera la vita e dalla sua incontaminazione dipende!
Solo chi solca i mari può conoscere lo stato in cui si trovano e non, certamente, chi è nato e vissuto in Montagna!
E’ pensabile che in Europa vi siano ancora città prive dei servizi primari ed afflitti dallo smaltimento dei rifiuti solidi urbani ed industriali? Che figura facciamo con tutto quello che accade da noi?
L’esercizio venatorio, per quanto possa ancora essere sacrificato e tartassato, non è, non lo è mai stato, causa dei mali attual, che non potranno essere certamente sanati con ulteriori “balzelli e leggine”, solo a carico della solita categoria dei Cacciatori!
Per quanto attiene le Direttive CEE, è normale che esse siano applicate e rispettate, sempre nel contesto dell’area in cui si opera! E’ da ricordare, però, che i troppi divieti pongono a rischio solo la LIBERTA’ e non certamente la flora o la fauna!
Come la selvaggina non conosce frontiere, così l’uomo deve essere libero, sempre e solo rispettando le leggi della natura e quelle sociali, miranti anche al rispetto della persona e non solo al “lucro”!
La nostra categoria, solo perché libera nella mente e nel cuore, è stata criminalizzata e ghettizzata, posta sullo stesso livello dei più efferati criminali! Vergogna per quanti hanno operato a creare questo clima disfattista, a loro va tutto il mio personale dissenso ed il più assoluto diniego alla loro identità, se l’hanno mai avuta!
Ben vengano reali risultati dall’azione del Ministro, noi tutti ne saremmo estremamente felici; certamente ne verrà a beneficiare l’intero mondo rurale e l’ambiente in generale! Tantissimi auguri per la sua riuscita, anche se l’orizzonte non è alquanto privo di dense nuvole nere!
Rimane sempre e comunque almeno un tenue e spiraglio di luce, che speriamo possa realmente illuminare il cammino di tutti, anche di coloro che non “amano” la caccia!
Gryzly 1940
Al risveglio mattutino tutti gli Italiani sognano di sorseggiare un buon caffé e di ricevere una buona notizia. Il caffé, in genere, è assicurato, la buona notizia no! Le buone notizie, in questo momento, non ce le possiamo permettere. Una cappa sembra essere calata su questa nostra ex-patria in questa campagna elettorale, una nube tossica che tutti avvolge fino a soffocarci. Se l'aria e l'economia sono inquinate, è soprattutto dalla politica che viene l'insicurezza maggiore: futuri incerti, tensioni, colpi bassi, trame internazionali: è una guerriglia quotidiana condotta da tutti contro tutti di cui non si capisce bene il perché e della quale non s'intravede la fine.
Quest'Europa tanto decantata, non altrettanto amata, lontana e burocratizzata è diventata “terreno libero” di caccia, praticata ogni giorno senza fucili, licenza e tesserini, in cui l'arma più usata è lo “sputo al vetriolo”.
Ma dov'è la preda da abbattere? Ognuno la cerca, rincorrendola con affanno e bava alla bocca. Se Di Pietro sguinzaglia i propri mastini dai denti avvelenati che azzannano tutto e tutti, sia a destra che a sinistra, senza sapere perché, Franceschini si aggira tra mercatini e bancarelle, convinto che il nemico si annidi tra radicchio e pomodori. Casini no, Casini abbaia e fa abbaiare i propri cani tenendoli legati pur sapendo che non potrebbero mai nuocere. Mentre qualcuno ha pensato bene di rispolverare la vecchia arma della “falce e martello” ormai arrugginita, Bossi intende “prendere a bastonate” il vecchio nemico democristiano che sembra rialzare la testa. Ma attenzione perché la vera caccia, quella nobile e tradizionale, praticata dai cavalieri di un tempo e di quelli di oggi, è rivolta a prede giovani e gentili,scelte con cura: è la famosa caccia di selezione praticata da sempre e che ogni buon italiano sogna di praticare.
Ma c'è ancora uno che sta sempre lì, in “prima fila” lamentandosi di non essere mai ripreso, e che fa tanta tenerezza: quel santone di Pannella, tanto simile a quei vecchi cani randagi sempre affamati per i lunghi digiuni e senza denti, che da tempi memorabili continua ad abbaiare alla luna.
In tutto questo bailamme di ululati e latrati che “ci azzecca” L'Europa? Alzi la mano, chi dopo questa campagna elettorale, crede di conoscere meglio i problemi e le prospettive del Vecchio Continente.
Un'ultima riflessione rivolta agli amici cacciatori (chi scrive è uno di voi!): con questa assurda e radicale caccia alle streghe, come potrebbero i nostri politici pensare a rivedere e migliorare la 157 com'era anche stato scritto nel programma (punto n.7) dell'attuale governo? E' là che giace, inerme, in qualche remota commissione. Quando la caccia è praticata con sputi in faccia “al vetriolo” e frecce avvelenate, i nobili fucili tacciono.
Amici cacciatori se avete ancora un briciolo di fiducia, date retta; fatevela passare! Pessimista? Vorrei essere smentito......!
Domenico Ubaldi
Crediamo sia doveroso fornire una corretta informazione su questa “Comunitaria” che tanto fa discutere in questi giorni.
La “Comunitaria” è una norma che deve essere approvata dall'Italia per adeguare le Normative nazionali a quelle europee. Naturalmente le normative da adeguare sono nei diversi settori quali agricoltura, ambiente, sociale ecc. Per quanto riguarda il mondo venatorio, la “Comunitaria” prevede il recepimento dell'art. 7 della Normativa comunitaria 409/79.
L'art. 7 impone agli Stati membri la tutela delle specie migratrici durante il periodo di ritorno dai luoghi di nidificazione, nel periodo della nidificazione e della dipendenza dei nidiacei.
Nella Legge Statale 157/92 non è esplicitamente menzionato il recepimento dell'art. 7 della Normativa comunitaria 409/79 quindi l'Unione europea impone all'Italia il suo esplicito inserimento nella normativa nazionale.
Se l'Italia non provvede a questo adempimento l'Unione europea darà corso alla procedura di infrazione, già avviata, deferendo l'Italia alla Corte di Giustizia europea.
La “Comunitaria” è stata approvata dal Senato della Repubblica e, per diventare esecutiva, deve essere approvata anche dall'altro ramo del Parlamento, cioè la Camera dei Deputati.
Per ricollocare la questione nei giusti termini va ricordato che attualmente non è stata bocciata nessuna norma comunitaria perché il compito di approvarla o meno sarà della Commissione Comunitaria della Camera dei Deputati.
Essendo la “Comunitaria” un provvedimento omnibus che riguarda numerose materie, la Camera dei Deputati ha chiesto un parere a tutte le Commissioni parlamentari competenti.
La Commissione agricoltura, senza entrare nel merito del provvedimento, ha ritenuto di non dare il proprio parere favorevole ritenendo che la materia debba essere trattata in altra sede.
Spetterà alla Commissione Comunitaria esprimere il proprio voto finale tenendo conto dei pareri espressi da tutte le Commissioni.
Dopo il voto della Commissione Comunitaria il provvedimento verrà presentato in aula parlamentare per il voto definitivo della Camera dei Deputati.
CPAD
Giornalista ed ingegnere nucleare, romano d’adozione e siciliano di nascita è, da moltissimi anni, convinto assertore delle centrali nucleari avendone, nella sua specifica ed indiscussa conoscenza, compreso e valutato l’immenso vantaggio che potrebbe finalmente e definitivamente consacrare al nostro Paese. È autore di un manuale sulle fonti di energia “Le alternative al Petrolio”, segnalato su internet alla voce libri universitari (digitare: “libri Prinzi” racchiuso tra virgolette); di altri volumi minori sul tema dell’ambiente tra cui un libro specifico su “Il buco dell’ozono” scritto con Antonio Gaspari, attuale Direttore di Master all’Università Europea di Roma.
Sono orgoglioso di essergli amico da tantissimi anni, da quando nel lontano ’85 si univa a noi cacciatori nelle manifestazioni a favore della caccia nelle piazze di Bologna e Roma. Il suo viso sorridente, volto alla naturale disponibilità verso tutti e la sua innata gentilezza lo pongono fra i migliori amici e commensali che ognuno di noi vorrebbe avere accanto. Concludo inviandogli un cordiale: “Ciao Giorgio, speriamo di rivederci il più presto possibile!” (Magari davanti ad un buon piatto di Coda alla vaccinara, preparato dal sottoscritto che, insieme ad Antonio Gaspari, usavamo degustare nella mia casa romana).
Il Presidente del C.P.A.D.
Benito Nino Bruni
Il disastro di Chernobyl ha avuto, soprattutto in Italia, ricadute culturali, politiche ed economiche devastanti, perché il reattore incidentato era in realtà un “convertitore” militare, le cui finalità primarie non erano quelle dell’elettrogenerazione, ma quelle di convertire l’uranio naturale, l’isotopo 238 non fissile e non radioattivo utilizzato, tra l’altro, per confezionare le camicie dei proietti cosiddetti ad “uranio impoverito”, nell’isotopo 239 del plutonio le cui caratteristiche lo rendono adatto per la confezione di ordigni nucleari. Perché questa premessa? Perché solo pochissimi specialisti all’epoca conoscevano quel tipo di macchina e le sue intrinseche caratteristiche di pericolosità, per cui i numerosi esperti di nucleare civile non sapevano spiegare a loro stessi la dinamica del disastro e, purtroppo, la cosa si coglieva chiaramente nelle interviste, in particolare in quelle televisive che sono “impietose” da questo punto di vista. L’effetto sull’opinione pubblica non poteva che essere quello che ha portato ai risultati referendari del 1987. Oggi è cambiato qualcosa? Si direbbe che anche tra persone qualificate le idee non sono del tutto chiare. Ecco come risponde il professor Tullio Regge, fisico e matematico di fama mondiale, accademico dei Lincei al collega Stefano Filippi de “Il Giornale” in un articolo pubblicato il 6 giugno: «Quella è stata proprio una vergogna.
Il responsabile della centrale ricevette una proposta da un gruppo di ricercatori (ma io non li chiamerei così) i quali volevano vedere come si comportava il reattore a basse potenze. Ebbero le chiavi, entrarono e abbassarono la potenza. Quel reattore non era moderato ad acqua ma a barre di magnesio, una tecnologia oggi totalmente abbandonata perché presentava un grave difetto: a basse potenze diventa instabile, o tenta di spegnersi di colpo o di andare su, è incontrollabile. Quelli non lo sapevano, il reattore tendeva a spegnersi e loro toglievano barre di magnesio. Eliminata l’ultima, il reattore è scoppiato. Non aveva neppure le pareti corazzate. Un incidente orrendo». Immagino che la maggioranza dei lettori non sappiano cosa si intende in fisica del reattore per moderatore. Cerchiamo di spiegarlo e lo facciamo seguendo uno schema che si discosta da quelli classici tradizionali. Materia ed energia non sono entità contrapposte, bensì i parametri che li caratterizzano sono attributi di un’entità non definita ancora come tale. Einstein definì la luce “duale” perché a seconda del tipo di esperimento sembrava avere natura di particella o di onda. Le possiede entrambe, come una qualsiasi particella dotata, tra l’altro, di massa, energia, quantità di moto, di un’associata lunghezza d’onda, che varia secondo una legge determinata (formula di De Broglie), per il caso che a noi interessa, al variare della sua velocità. I neutroni, in genere trattati come particelle di materia, possono essere visti anche come fascio di onde a una determinata frequenza, peraltro modulabile variando la velocità di traslazione dei medesimi.
Questa schematizzazione, che adotto per fini didascalici, ha il vantaggio di rendere comprensibile il fenomeno della cattura dei neutroni da parte degli atomi bersaglio, i cui reticoli si comportano come “antenne” riceventi, selettive per una determinata banda di frequenza, che viene modulata da quello che viene definito “moderatore”, in quanto nel caso specifico dei reattori ad uranio arricchito modera (la rallenta) la velocità dei neutroni. Nella maggior parte dei reattori commerciali per elettrogenerazione il moderatore è della comunissima acqua demineralizzata. I neutroni, come biglie di un biliardo, dopo una serie di urti con le molecole dell’acqua, che funge anche da refrigerante (asporta il calore prodotto dalla reazione nucleare, che serve a produrre il vapore che aziona le turbine alle quale sono accoppiati i generatori di elettricità), acquistano la velocità che caratterizza l’agitazione delle molecole d’acqua alla temperatura a cui si opera e per questo vengono definiti anche con la dizione di “neutroni termici”. A venire catturati dall’uranio fissile e a sostenere la reazione nucleare sono i neutroni termici. Questa soluzione ha il vantaggio di autoregolare la potenza del reattore, anzi di contrastarne l’aumento incontrollato di potenza. Se l’acqua tende a scaldarsi, la sua densità tende a diminuire e, di conseguenza, diminuisce il flusso dei neutroni rallentati, quelli che danno luogo alla fissione, quindi si ha una minore produzione di calore che contrasta e va in senso contrario alle cause che hanno indotto l’incremento di temperatura. Se l’acqua viene a mancare del tutto, la reazione di fissione principale non può avvenire. In gergo si dice che questi reattori hanno un “coefficiente di potenza” negativo.
Nei reattori tipo Chernobyl, moderatore e refrigerante sono due sostanze diverse. Il moderatore è costituito da pani di grafite, sostanza che ottimizza la produzione di plutonio con specifiche militari. Quel tipo di reattori era infatti destinato a fini militari e la produzione di energia elettrica ad essi associata era solo in parte dettata da motivi economici, in quanto era un modo per camuffarne l’impiego reale nella produzione di plutonio per armi nucleari. In quel tipo di reattori l’acqua, fungendo anche da schermo, contribuisce all’assorbimento dei neutroni. Se tende a scaldarsi e, di conseguenza a divenire meno densa, aumenta il numero di neutroni che danno luogo a fissione, quindi aumenta la produzione di calore e si ha una ulteriore tendenza al riscaldamento. Il fenomeno è estremamente pericoloso in fase di avvio perché il transitorio è estremamente rapido: si parla di millesimi di secondo. Ai tempi del disastro le barre di controllo in carburo di boro avevano un’appendice terminale in grafite, oggi eliminata, che ha contribuito non poco a innescare il disastro. L’esperimento che ha dato origine al disastro aveva finalità militari in quanto si proponeva di studiare la possibilità di riavviare l’erogazione sfruttando l’inerzia delle turbine dopo il verificarsi di un black out, nel supposto dell’esercitazione ipotizzato a seguito di un massiccio bombardamento da parte della Nato.
Non è proprio quello che nel virgolettato di Stefano Filippi viene attribuito a Tullio Regge, ma neppure delinea uno scenario incompatibile con quello da noi illustrato anche se con delle incongruenze. Potrebbero venire imputate sia all’intervistato, che ad una eventuale sintesi fatta dall’intervistatore presumibilmente non competente in materia. Torneremo sull’argomento nei prossimi giorni, anche al fine di chiarire ai lettori - e non solo a loro - la questione della sicurezza degli impianti nucleari che il disastro di Chernobyl ha contribuito a caricare di connotazioni negative e di paure.
Giorgio Prinzi
Il caso di Franco Battaglia, studioso ecologicamente non omologato
L'esclusione avvenuta perché Carlo Rubbia non ha voluto confrontarsi
Il professore non “ecologicamente” omologato Franco Battaglia, noto per scrivere sui giornali verità scomode per i talebani adoratori delle energia alternative, era stato interpellato per intervenire in contraddittorio ad una puntata di “Anno Zero” sul tema di una indimostrata catastrofe ambientale per risolvere la quale il prode Santoro si affida al Governo Prodi nell’auspicio che sia (citiamo letteralmente dal sito che annunzia la puntata dal titolo “Dimenticare il futuro”) “capace non solo di sopravvivere, ma di offrire una speranza al Paese e di progettare il futuro”. Seguono i nomi degli ospiti chiamati a discuterne: Francesco Rutelli, il Nobel Dario Fo, Vittorio Sgarbi, e Jacopo Fo. La partecipazione del professor Battaglia è stata annullata perché il professor Carlo Rubbia, collega di Nobel di Dario Fo e Consulente del ministro Alfonso Pecoraro Scanio, ha rifiutato di misurarsi in contradditorio con Franco Battaglia e per, par condicio, mancando un contraddittore, è stato cancellato anche il professor Battaglia, nonostante le sue rimostranze perché si trovasse un altro contradditore.
Evidentemente nessuno ha il coraggio di misurarsi con lui. Ne prendiamo atto. Cosa ne verrà fuori lo sapremo a pagine del nostro giornale già chiuse. Non credano, però, Rubbia e Santoro di farla franca con manovre di ritirate strategiche o con forme passive di negazionismo al dibattito. Non faremo loro sconti, sia pure da impari posizione e con differente impatto di opinione pubblica. Di domande alle quali sembrano poco disposti non solo a rispondere ma di vederle formulate in pubblico ne avremmo a iosa. Ad esempio, quanta energia elettrica serve per mantenere, quando non c’è sole o esso è insufficiente, la temperatura dell’accrocco a temperatura superiore a quella di solidificazione dei sali fusi (il fluido termodinamico da cui postula il nome il solare patrocinato da Rubbia) , che vanno altresì agitati (mantenuti in circolo) per evitare singolarità all’interno del circuito? Nostre fantasie? Citiamo testualmente dal capitolo 3 del “Progetto Archimede” a pagina 64, paragrafo dal titolo Riscaldamento componenti e tubazioni dell’impianto “ (. . .)
Il problema più importante di questo fluido è l’elevata temperatura di solidificazione pari a circa 238 °C, per cui risulta necessario durante l’esercizio dell’impianto mantenere la temperatura del fluido al di sopra di questo valore con un certo margine. Particolare attenzione va posta nella fase di avviamento e nella fase di riempimento della rete di tubazioni che usualmente si trovano a bassa temperatura. È quindi necessario prevedere, per risolvere tale problema, l’utilizzo di sistemi di riscaldamento delle tubazioni e dei componenti che siano semplici ed affidabili. I sistemi di riscaldamento che risultano più idonei nell’impianto solare sono di tipo elettrico ed in particolare il sistema con cavi scaldanti e il sistema per impedenza. In particolare il primo viene utilizzato per il riscaldamento dei componenti (valvole, strumenti di misura, bocchelli ecc, figura 3. 13) mentre per le tubazioni viene utilizzato il sistema ad impedenza. Nel caso di sistema ad impedenza, la stessa tubazione diventa un riscaldatore allorché gli viene fatta passare una corrente elettrica con una tensione di qualche Volts.
Quest’ultima viene ottenuta attraverso un opportuno trasformatore in corrente alternata, alimentato a 230-400 V con uscita a bassa tensione 5-25 V . La figura 3. 16 rappresenta schematicamente questo tipo di sistema di riscaldamento elettrico applicato a tratti di tubazioni affiancate. Sebbene questo sistema di riscaldamento potrebbe risultare meno economico per il costo del trasformatore, esso ha il grande vantaggio di avere una lunga durata, poca manutenzione ed un accurato controllo della temperatura”. Preveniamo le possibili contestazioni dei Nobel Rubbia e Fo. Il capitolo da noi citato si riferisce alla fase di caricamento dell’impianto, dove i problemi di raffreddamento del fluido sono più pressanti, ma anche ad impianto caldo le dispersioni esistono e non sono eliminabili. Quanta energia serve per equilibrarle e quali tipi di coibentazione sono stati adottati soprattutto nell’elemento critico che è il captatore dell’irradazione solare? Sempre in riferimento alla fase di caricamento riportiamo che il singolo fusore dei sali ha un volume di 7 metri cubi, un sistema di resistenze elettriche della potenza di un megawatt e mezzo con temperatura superficiale di 600 centigradi, il tempo medio di fusione di una tonnellata di prodotto a temperatura del bagno di 340÷370 °C è di 7 minuti, il tempo di travaso con una pompa da 500 chilogrammi al minuto e di circa 10 minuti, la durata del ciclo è di 50 minuti, l’agitatore del bagno è ad elica.
Qualcuno direbbe “Rubbia, ci hai fatto sognare tutti”. Più semplicemente il professor Battaglia e chi scrive diciamo “Dateve ‘na sveja!”. Segnalerò questo articolo e quanti altri eventualmente ne seguiranno, sia al Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti, sia al Collegio dei Probiviri del Sindacato, perché esprimano una loro valutazione sulla vicenda. Segnalo inoltre che sul numero 38 del luglio 2007, pagina da 62 a 65, della rivista “Tecnologia & Difesa” è pubblicato un articolo sulle variazioni climatiche nel quale si esprimono seri dubbi che su di esse abbia una reale influenza il cosiddetto effetto serra. Vuoi vedere che il Protocollo di Kyoto è il nobel di tutte le cantonate?
Giorgio Prinzi
Il torio fu scoperto nel 1828 da Jöns Jacob Berzelius, un chimico svedese, in un campione di un minerale datogli ad esaminare dal reverendo Morten Thrane Esmark, che sospettava contenesse una sostanza sconosciuta. Il minerale di Esmark è ora classificato come torite (ThSiO4). Il suo nome deriva da Thor, il dio scandinavo della guerra. Il torio, è un elemento che si trova in natura con un’abbondanza relativa simile a quella del piombo. Si trova, sia pure in piccole quantità, nella maggior parte delle rocce e dei terreni. Il granito contiene fino a 80 ppm (parti per milione) di torio. L’ossido di torio è altamente insolubile e questo ha come conseguenza che non si disperde nell’ambiente. Il torio è presente in natura in minerali quali la torite, l’uranotorite, la torianite; è uno dei componenti principati della monazite, minerale che si trova in Italia nell’arco subabalpino, ed è presente in quantità significative nei minerali zircone, titanite, gadolinite e betafite. La produzione mondiale di torio supera le 30.000 tonnellate all’anno. Finalmente una buona notizia: sembra che l’Italia sia ricca di Torio. Il Torio?! Si, il Torio: non si tratta di un farmaco enfatizzatore della potenza sessuale, ma un elemento che potrebbe rappresentare un’occasione per essere finalmente all’avanguardia, giacché sembra che possa sostituire, addrittura assicurando consistenti vantaggi, l’uranio ed il plutonio nelle tecnologie nucleari. Per saperne di più abbiamo intervistato Giorgio Prinzi, uno dei massimi esperti italiani di nucleare.
(MB) Dott. Prinzi è vero che in Italia dovrebbero giacere notevoli disponibilità di torio?
(GP) È una convinzione diffusa, avallata da studi che non valutano la consistenza effettiva delle riverse, ma esprimono giudizi qualitativi di primo approccio. Uno studio più approfondito esiste in relazione al sito di Piona sul Lago di Como, dove si trova della monazite particolarmente interessante per il suo contenuto in torio. Lo studio, pubblicato nel 1978 su “American Mineralogist”, volume 63, a firma di Carlo Maria Gramaccioli dell’Università di Milano e di Tom Victor Segalstad dell’Università di Oslo, è stato condotto dal punto di vista della mineralogia, senza finalità alcuna in relazione a possibili utilizzi del filone di materiale per produrre combustibile nucleare, quindi senza una valutazione delle potenzialità delle riserva a tali scopi. Nonostante questa lacuna di fondo, la convinzione generale è che in Italia si abbia una notevole disponibilità di torio, in particolare in siti vulcanici quali l’Etna le Isole Eolie ed altri siti vulcanici, che caratterizzano la Penisola. In particolare le attese si accentrano sulle zone vulcaniche dell’Alto Lazio, sulle cui potenzialità convergono molti autori. Queste valutazioni preliminari in genere fanno riferimento alla radioattività di fondo, da cui si deduce la consistenza della presenza di torio nel suolo. Mancano, o almeno non sono a nostra conoscenza, elementi quantitativi finalizzati all’utilizzo per fini energetici. Un dato che riportiamo, senza particolare significato, è quello di una valutazione a livello planetario che prendeva in considerazione aree in cui la concentrazione di torio si riteneva superiore ai 13 milligrammi al chilo. Tra queste, in riferimento all’Italia, le “province alcaline” dell’Alto Lazio, la Sicilia, le Eolie ed altri siti vulcanici.
(MB) Si può quindi utilizzare il torio come combustibile nucleare?
(GP) Certo, abbiamo notizie certe sulla tecnologia di utilizzo del torio che è stata a lungo oggetto di sperimentazioni in relazione a diverse tipologie di filiere e con diversa composizione del combustibile, comprese miscele di plutonio e torio nella prospettiva di trovare una soluzione allo smaltimento delle crescenti quantità di plutonio accumulatesi a seguito dei periodici riconfezionamenti delle testate nucleari, necessari per evitare il rischio di detonazione nucleare spontanea dovuta alla trasmigrazione del plutonio dall’isotopo 239, a bassa attività, all’isotopo 241, ad elevata attività, la cui presenza, oltre un certo limite percentuale, innesca appunto una detonazione nucleare spontanea. Un vantaggio non da poco perché la transizione dalla tecnologia ad uranio a quella al torio potrebbe avvenire per compenetrazione e senza gradini tecnologici, con tecnologie provate in pieno possesso della nostra industria, ad esempio Ansaldo, e dei nostri tecnici, ad esempio Sogin, che continuano a lavorare nel settore, sia pure per committenti esteri. In Italia, proprio per la non quantificata, ma generalizzata, convinzione di grandi disponibilità indigene di torio, vi è stato in passato un interesse di studio e di ricerca applicata. A partire dal 1960 il Laboratorio di Trisaia in provincia di Matera, le cui specifiche attività nel settore sono state definitivamente sospese nel 1978, dopo la scelta politica di più esecutivi nazionali di abbandonare l’utilizzo della fonte energetica nucleare. Forse è giunto il momento di ripensare alle decisioni prese sull’ondata emotiva del disastro di Chernobyl, che condizionarono l’esito di un referendum che venne politicamente inteso come orientamento dell’opinione pubblica contrario a quella tecnologia. In nessuna altra parte al mondo venne sospeso il completamento delle già esistenti centrali e, tantomeno, vennero chiusi gli impianti in esercizio. Questo è avvenuto solo in Italia. L’impennata del prezzo degli idrocarburi (petrolio e gas) e la probabile conseguente lievitazione di prezzo dei combustibili alternativi più diffusamente utilizzati (carbone ed uranio) ha rilanciato l’interesse per la tecnologia del torio che, grazie alla sua diffusione in natura e la relativa facilità di chiudere il ciclo di fertilizzazione e riprocessamento, può venire considerata una fonte di energia “inesauribile” dal punto di vista della dimensione temporale umana. L’India, che ha consistenti riserve accertate di torio, è all’avanguardia in questa tecnologia. Grande interesse, anche con autorevoli interventi sulla stampa d’opinione, in Australia, che ha le riserve di torio valutate come le più consistenti al mondo, superiori a quelle della stessa India. Ancora una volta per l’Italia, per la ricerca di base ed applicata italiana, per l’industria nazionale si tratta di non sprecare l’ennesima occasione per essere all’avanguardia. Diviene pertanto impellente valutare al più presto, con una finalizzata campagna di introspezione mineraria, la consistenza reale delle riserve nazionali di torio impiegabili a fine di elettrogenerazione, di conserva rimettere in funzione l’impianto pilota di Trisaia ed, eventualmente, avviare un reattore commerciale alimentato con combustibile ottenuto con il ciclo del torio. Si potrebbe pensare di riavviare con queste finalità gli impianti dismessi di Corso e di Trino Vercellese, che potrebbero venire ottimizzati per fungere da impianti commerciali sperimentali, su cui eventualmente sviluppare una filiera nazionale od una filiera sviluppata insieme ad altre nazioni interessate, espressamente progettata sul ciclo del torio.
(MB) Dunque il torio può sostituire l’uranio?
(GP) Assolutamente si. L’uranio, benché oggi sia il combustibile nucleare più diffuso, addiittura quasi esclusivo nelle applicazioni civili industriali, non è l’unica via per ottenere energia dall’atomo. La fissione nucleare (rottura, spaccatura) dell’atomo di un qualunque elemento fissile (che può essere spaccato in due o più pezzi) che occupi nella tavola degli elementi una casella superiore a quella del ferro avviene con liberazione di energia; al contrario, nel caso di fusione nucleare di atomi, si libera energia se l’elemento occupa nella tavola degli elementi una casella al di sotto di quello del ferro. Il fenomeno, sia in caso di fissione che in caso di fusione, si amplifica con la lontananza dall’elemento ferro, che funge da separazione tra le Il Bhabha Atomic research Centre (BARC) dove si sta sviluppando la tecnologia basata sul Torio, che nei prossimi 10 anni affrancherà le centrali atomiche indiane dal fabbisogno di uranio. L’uomo della strada dovrebbe ricordare che un nucleare pulito, sicuro e alimentato da un combustibile che non deve essere comprato all’estero significherebbe non solo energia a basso costo, ma soprattutto ambiente più sano e cessazione della dipendenza dai paesi orientali produttori di petrolio. Probabilmente il mezzo più efficace per far cessare il terrorismo. L’importante per realizzare una macchina efficiente (reattore nucleare) è il potere disporre di un elemento fissile, quale l’uranio, collocato il più possibile nella parte alta della tavola degli elementi, sia esso esistente in natura che, come invece il plutonio, creato dall’uomo. Molteplici sono state le cause che hanno spinto in maniera quasi esclusiva a privilegiare la tecnologia dell’uranio e, non da ultime, le implicazioni militari di tale tecnologia. Il plutonio, un elemento che non esiste in natura (sarebbe più esatto dire non esiste più, in quanto scomparso perché trasmutato per decadimento radioattivo nel corso delle ere geologiche) ma usato come “esplosivo” nucleare per eccellenza, viene prodotto per irraggiamento dell’isotopo “238” dell’uranio, che non è fissile (non si spacca sotto bombardamento neutronico) ma fertile (ingloba una particella, porta il suo numero atomico da “238” a “239”, diviene un altro elemento, il plutonio). Ora qualcosa si sta muovendo e l’interesse comincia finalmente a spostarsi verso, il torio, la cui disponibilità in natura è superiore di un fattore tra “tre” e “quattro” alle disponibilità di uranio. Il torio non è un elemento fissile (bombardato non si spacca) ma è un elemento fertile (bombardato trasmuta in uranio “233”, che è fissile e può quindi venire usato come combustile nucleare).
(MB) Come avviene il passaggio da torio ad uranio?
(GP) Il passaggio da torio “232” ad uranio “233” non è diretto, ma i brevi tempi di decadenza dei prodotti intermedi rendono insignificante la questione. Il ciclo del combustibile torio-uranio è apparentemente più complesso di quello commerciale attuale che impiega l’isotopo 235. Come accennavamo sopra, l’utilizzo di tale isotopo come combustibile nucleare, utilizzando uranio naturale, richiede la produzione di acqua pesante (acqua la cui molecola è composta da un atomo di ossigeno e da due di deuterio, isotopo pesante dell’idrogeno che compone l’acqua normale), che è un processo costoso in quanto basato su processi di distillazione frazionata di prodotti idrogenati, ad esempio l’acqua naturale demineralizzata in cui la molecola “pesante” (D2O in luogo di H2O) è presente nel rapporto medio di uno su settemila, con variazioni del rapporto, a seconda dei luoghi di prelievo, sino al 30%. Se si usa come combustibile uranio arricchito, la reazione di fissione può avvenire utilizzando come moderatore (rallentatore dei neutroni che devono collidere con l’atomo bersaglio, fissionandolo) la meno costosa acqua naturale. Tuttavia bisogna aumentare il contenuto di isotopo fissile nell’uranio naturale. Il processo, che si chiama di arricchimento, avviene in fase gassosa (dopo avere trasformato l’uranio in un composto gassoso) sfruttando la diversa velocità di diffusione in una cascata di setti porosi o la diversità di massa atomica in centrifughe ultraveloci. Per la confezione degli elementi di combustibile si ritorna alla fase solida, in genere ad ossidi di uranio. Si tratta comunque di processi tecnologicamente avanzati, che hanno un costo rispetto al quale il processo di produzione dell’U233 a partire dal torio potrebbe rilevarsi competitivo, in particolare di fronte ad un prevedibile innalzamento del prezzo di mercato dell’uranio naturale a causa dell’incremento di domanda che si avrebbe in caso del rilancio di tale fonte nel campo dell’elettrogenerazione. Lo svantaggio del ciclo del combustibile torio-uranio è che si deve operare a distanza su materiale emettitore gamma; il vantaggio è che la loro separazione, trattandosi di elementi diversi e non di isotopi dello stesso elemento, può avvenire per via chimica, più semplice e meno costosa di quella fisica, quale la diffusione o la centrifugazione.
(MB) Quindi una sfida ed una opportunità per la Ricerca e per l’Industria italiane, sperando che la Politica ed gli Enti preposti non sottovalutino questa importante nuova tecnica...
(GP) Certamente. Nella speranza che un’opinione pubblica matura non si faccia influenzare, come ai tempi del referendum sul nucleare, da luoghi comuni disseminati ad arte da chi ha interessi contrari e tenta di far leva su facili emotività. L’uomo della strada dovrebbe ricordare che un nucleare pulito, sicuro e alimentato da un combustibile che non deve essere comprato all’estero significherebbe non solo energia a basso costo, ma soprattutto ambiente più sano e cessazione della dipendenza dai paesi orientali produttori di petrolio. Probabilmente il mezzo più efficace per far cessare il terrorismo.
Giorgio Prinzi
intervistato da Marina Bartella
Avrebbero anche provocato attacco di cuore e morte di un anziano.
(ANSA) - BARI, 15 GEN - Avrebbero svolto controlli contro il bracconaggio con metodi violenti:tre arresti su ordine del Gip di Trani. In manette sono finiti un agente del Corpo forestale dello Stato, un dirigente locale del WWF e una guardia venatoria volontaria. In un caso avrebbero provocato un attacco di cuore e la morte di un anziano sottoposto a controlli, in un altro malmenato un cacciatore. I tre sono accusati di violenza privata, omicidio colposo, falso, abuso d'ufficio, calunnia, lesioni aggravate.
N.d.r. E' un preciso dovere statutario,così come faremo noi, costituirsi parte civile nei confronti di costoro. Tutte le altre Associazioni venatorie, presenti in Italia,hanno il sacrosanto dovere di fare altrettanto.
Dopo 13 giorni di intenso dibattito, con il rischio di non raggiungere nessun accordo comune, le delegazioni di 190 paesi presenti a Bali, hanno chiuso, il 15 dicembre, la XIII Conferenza Onu sui cambiamenti climatici. La conferenza ha approvato un documento minimo, e cioè una "road map" negoziale per avviare due anni di trattative mondiali e arrivare, per il summit sul clima del 2009 fissato a Copenaghen, a varare un nuovo eventuale accordo di riduzione dei gas serra per il dopo 2012, a partire cioè dalla scadenza del Protocollo di Kyoto. Nel documento finale non sono indicati gli obiettivi dei tagli alle emissioni, e non sono menzionate misure coercitive in termini di tasse o multe, come invece promossi dal Protocollo di Kyoto. Benché minimale, il documento finale è stato salutato da scroscianti applausi, e questo perché la conferenza era giunta alla fine senza nessun accordo, tant'è che le conclusioni sono state rinviate di un giorno. I lavori sono stati contrassegnati da un dibattito acceso e franco, con l'Europa e la burocrazia delle Nazioni Unite intenzionate a far accettare una riduzione tra il 25 ed il 40 % delle emissioni di anidride carbonica entro il 2020.
Cifre buttate al vento, perché i Paesi industrializzati che hanno ratificato il Protocollo di Kyoto, soprattutto quelli europei, non riusciranno neanche a raggiungere la quota di riduzione del 5 % entro il 2012, come previsto dal Protocollo stesso. Mentre la maggior parte dei media si è accanita contro gli Stati Uniti, per non aver ratificato Kyoto e per la resistenza contro un nuovo accordo ancora più impegnativo, nella realtà gli USA hanno fatto valere le loro ragioni, condizionando l'intero dibattito, facendo passare un documento finale in cui si promuove la ricerca e l'utilizzo di tecnologie pulite in maniera volontaria. Pur sembrando isolati all'inizio della conferenza, gli USA hanno dunque finito per determinarla in maniera decisiva, trovando l'appoggio di Giappone, Canada, e Russia, che pure avevano ratificato il Protocollo di Kyoto, ma che non hanno nessuna intenzione di accettare nuove eventuali imposizioni in termini di quote, tasse ed eventuali multe. In merito al documento finale, il comunicato del Dipartimento di Stato americano, manifesta una certa soddisfazione soprattutto a proposito dei punti del documento finale in cui si riconosce «l'importanza dello sviluppo di tecnologie pulite, il finanziamento dello sviluppo di queste nuove tecnologie nei Paesi emergenti» e per tutte le misure che prevedono di «assistere questi Paesi nei piani di adattamento ai cambiamenti climatici e di miglioramento delle attività industriali per ridurre le emissioni e incrementare la riforestazione». Per quanto riguarda il procedere dei negoziati, la delegazione statunitense ha chiesto un approccio graduale per i Paesi in via di sviluppo. Secondo il Protocollo di Kyoto infatti, Paesi che emettono gran quantità di CO2 come Cina e India, sono esenti da misure restrittive fino al 2020.
Mentre gli USA chiedono che in un eventuale accordo globale Cina, India e altri Paesi in via di sviluppo che conoscono una forte crescita partecipino ai piani che impegnano i paesi industrializzati.
Da questo punto di vista Cina, India, Messico e Sudafrica hanno ribadito la loro «non disponibilità» a tagli delle emissioni che potrebbero compromettere i processi di sviluppo economico. E hanno riaffermato che la responsabilità dei tagli alle emissioni tocca ai Paesi industrializzati. In occasione del documento finale, questi Paesi si sono detti disponibili ad eventuali discussioni per un nuovo trattato solo a condizione di ricevere aiuti finanziari per nuove tecnologie e progetti per la riduzione delle emissioni.
Tale disponibilità sembra essere stata sollecitata dall'Unione Europea e dai sostenitori dell'IPCC dell'ONU, con promesse di aiuti finanziari. Sta di fatto che i Paesi emergenti anche se si sono detti pronti a discutere un eventuale nuovo accordo, sanno che loro non pagheranno nessuna "carbon tax, e stanno alla finestra per vedere cosa accadrà.
Le uniche veramente deluse di come si è conclusa la XIII Conferenza Onu sui cambiamenti climatici, sono state le associazioni ambientaliste.
I verdi ci sono rimasti malissimo, lamentando l'inesistenza degli impegni assunti e criticando aspramente il ruolo svolto dagli Stati Uniti.
Per sostenere un accordo più restrittivo e vincolante di quello di Kyoto, Al Gore in particolare è arrivato a dire con toni isterici che «la lotta contro il riscaldamento globale è simile a quella contro il nazismo».
La "lobby catastrofista", favorevole soprattutto al mercato speculativo della "carbon tax" e dei titoli sull'aria calda (cioè i "carbon credits"), spera che alle prossime elezioni presidenziali la politica di Bush venga sconfitta e che, se il nuovo presidente americano sarà democratico, sposi la linea di Al Gore.
Anche se bisogna ricordare che la ratifica degli USA al protocollo di Kyoto venne respinta quasi all'unanimità dal Senato USA, proprio quanto era presidente il democratico Bill Clinton.
Antonio Gaspari
Come si diventa climatologi famosi? Lo spiegava nel 1982, in questo articolo che ripubblichiamo, Vincenzo Ferrara, ovvero l'uomo di fiducia che il ministro Pecoraro Scanio ha voluto per coordinare la Conferenza nazionale sui cambiamenti climatici svoltasi la settimana scorsa. L'articolo è stato pubblicato sulla "Rivista di Meteorologia Aeronautica" (Volume XLII n. 1, Gen-Mar 1982). E' un documento eccezionale perché l'allora giovane scienziato Vincenzo Ferrara spiegava perfettamente - contestandolo - il meccanismo che porta gli scienziati del clima alla fama. Ancora pochi anni e anche per Ferrara è iniziata la scalata al successo, evidentemente seguendo la strada disprezzata solo pochi anni prima: all'inizio degli anni '90 è stato inserito nella delegazione italiana che ha partecipato ai negoziati internazionali sul clima; poi dal 1992 al 2006 è stato il Focal Point nazionale dell'IPCC, l'organismo dell'ONU che monitora i cambiamenti climatici. Entrato all'ENEA, è diventato direttore del Progetto speciale sul clima globale, e fa anche parte del Comitato scientifico del WWF.
Come prevedere il clima del secolo prossimo
Vincenzo Ferrara
Se io fossi un climatologo a contatto con il pubblico, mi comporterei esattamente come il medico di fronte ad un malato più o meno immaginario. Questi malati, infatti, sanno tutto di medicina dai più remoti sintomi alle più catastrofiche prognosi perché seguono freneticamente tutte le rubriche televisive del tipo: “Curatevi da soli con lo zabaglione”, comprano puntualmente tutte le grandi enciclopedie illustrate a fascicoli settimanali della serie: "Tutta la salute minuto per minuto”, leggono insaziabilmente libri e riviste di medicina della collana: “Tutto quello che dovete sapere dalla cefalea al cancro fulminante” e, infine, tanto per sgranchirsi il cervello, imparano a memoria il nome di qualche migliaio di medicine al giorno dal prontuario in 78 volumi delle “Specialità medicinali nazionali ed internazionali”.
Un tipo di questo genere, quando sta male e va dal medico, già sa la diagnosi e prevede le possibili cure, compreso il nome di qualche centinaio di medicine adatte al caso. Ebbene, se il medico con il solito linguaggio incomprensibile gli sciorina, traducendo in termini terra-terra, la stessa diagnosi che lui aveva formulato, proponendogli una parte delle medicine che lui stesso aveva pensato, quel medico diventa subito il più grande scienziato di tutti i tempi, un nobel della medicina. Ma se, viceversa, il medico dice qualcosa di diverso da quello che lui pensava, quel medico diventa subito antipatico, incapace e presuntuoso, le sue cure risultano inefficaci, anzi nocive, finché alla fine quel medico viene senza mezzi termini classificato come uno che ha preso la laurea in medicina solo per far soldi perché in realtà non capisce un beneamato tubo di medicina.
Ebbene, per il climatologo succede la stessa cosa. La gente ormai sa tutto sul clima e sul tempo (clima e tempo sono spesso sinonimi), perché ha già letto qualche decina di manuali sul tempo (atmosferico) del passato, presente e futuro, a partire dal big bang iniziale e fino alla fine dell’espansione dell’universo (se ci sarà una fine); conosce a memoria l’enciclopedia a fumetti del "Fatti da solo il tempo che vuoi”, anzi si è già costruito in casa un bel temporale in miniatura con relativi fulmini e trombe d’aria, e poi, cosa più importante di tutte, ha divorato avidamente migliaia di pagine scientifiche dai quotidiani e periodici vari ove si parla addirittura dell’utilità della meteorologia nelle danze della pioggia in Patagonia.
Pertanto appena il tempo fa le bizze e le temperature appena un po’ più fredde del normale, coloro che tutto sanno si agitano furiosamente come morsi dalla tarantola, chiedono notizie e informazioni, telefonano al Servizio Meteorologico e perfino alla Protezione Civile, i giornali e la televisione ne parlano, le interviste si sprecano e la ricerca del “freddo che più freddo non si può” dilaga. In queste condizioni anche i più ignoranti e trogloditi sanno farsi una diagnosi e una prognosi sul clima e sulla lampante variazione climatica, e, come nel caso del malato di cui sopra, si interpella l’esperto climatologo con la frase di rito: ‘Il clima sta cambiando?’.
Orbene, se voi siete climatologo e contemporaneamente desiderate sopravvivere come un climatologo, accrescendo magari la vostra fama, non avete che da comportarvi come il medico, fornendo proprio la diagnosi e la prognosi che la gente si aspetta. Guai a rispondere: “Ma no, è tutto normale”, oppure: “Sono tutte balle montate dai giornali e dalla televisione” o peggio ancora: “Ogni volta che il tempo cambia ci state a rompere le scatole con queste variazioni climatiche”, perché la gente vi guarda prima sbigottita, poi con antipatia e infine conclude all’unanimità che voi meritate il confino in Siberia perché non capite un accidente né di tempo, né di clima. Sarebbe la fine della vostra carriera e vi converrebbe mettervi in pensione prima che vi buttino fuori a calci nel sedere.
L’unica risposta sensata alla domanda: “Il clima sta cambiando?” è: “Ma certo che sta cambiando! E’ ormai una cosa nota, scientificamente accertata e fuori discussione”. A questo punto prevedete per il futuro e per il prossimo secolo un clima esattamente uguale al tempo atmosferico presente, esaltando magari il fenomeno fino alle estreme conseguenze. Così, se fa freddo prevedete “glaciazioni”, se fa caldo prevedete una “era torrida”, e se vi sono condizioni di forte variabilità prevedete “estremi climatici” a breve termine e clima più o meno immutato a lungo termine (secolare).
Ma, direte voi, come fa un climatologo serio a fornire previsioni climatiche, attualmente impossibili, e per giunta previsioni, o meglio predizioni, così opposte senza sentirsi un buffone? Non temete c’è la scienza che vi sorregge, perché la scienza in questo campo ha pensato a tutto e fornisce la soluzione per ogni caso, anche per quelli più disperati.
Perciò, se fa freddo, il discorso scientifico da fare è il seguente: “Il clima sta cambiando e ci avviamo verso una nuova glaciazione. Questo fatto è già stato accertato perché a partire dal 1940, la temperatura media dell’emisfero nord è diminuita di circa 0,4°C, a causa probabilmente della minor trasparenza dell’atmosfera intorbidita dal sempre maggior inquinamento dell’aria. Il raffreddamento dell’aria provoca una maggiore estensione dei ghiacciai e dei mantelli nevosi, i quali essendo altamente riflettenti (albedo elevata) per la radiazione solare provocano a loro volta un successivo raffreddamento e quindi nuovi e più vasti ghiacciai, e così via in una spirale che porterà ad una nuova glaciazione nel giro di un secolo e forse meno”.
Già, ma se fa caldo come si fa a giustificare una previsione di era torrida con questi dati di fatto sul raffreddamento? State calmi. Basta affrontare il problema da un altro punto di vista altrettanto scientifico. In questo caso il discorso è: “Il clima sta cambiando e ci avviamo verso un’era torrida. Tutto ciò è stato già scientificamente accertato perché a partire dal 1850 il contenuto di anidride carbonica nell’atmosfera è andato progressivamente aumentando e solo in questi ultimi venti anni si è passati da 315 a 334 parti per milione. Ciò significa che nel 2020 l’accumulo di anidride carbonica sarà più che raddoppiato se si tiene anche conto dei sempre crescenti consumi di energia e di utilizzo dei combustibili fossili. L’aumento di anidride carbonica riduce le perdite di radiazione ad onda lunga dalla terra verso lo spazio (effetto serra) e nel giro di meno di mezzo secolo la temperatura media dell’aria aumenterà di circa 2 o 3°C; ci sarà scioglimento dei ghiacci polari ed un aumento medio del livello del mare che sommergerà parecchie località costiere”.
Tutto ciò sarà bello e scientifico, ma se a voi climatologi non va di essere così drastici oppure se le oscillazioni del tempo non sono tali da far presupporre che l’opinione pubblica preveda ere torride o glaciazioni, come comportarsi? Anche in questo caso la soluzione è semplice. Basta impostare il discorso in quest’altro modo: “Il clima sta cambiando, ma con rapide fluttuazioni e su periodi brevi. E’ vero che la temperatura è diminuita dal 1940 ad oggi, ma è anche vero che dal 1880 al 1940 è aumentata in media di 0,6°C. E’ vero che l’anidride carbonica aumenta, ma è anche vero che buona parte della radiazione solare ad onda lunga viene assorbita dagli oceani riducendo l’effetto serra e la rimanente parte viene perduta verso lo spazio a causa di contemporanee variazioni dell’ozono stratosferico. Insomma, episodi a breve termine di insolito clima sono soltanto fluttuazioni di un sistema che già di per se stesso è fortemente variabile. Se si considera il clima su periodi secolari o plurisecolari, si nota che è rimasto del tutto invariato e non vi sono attualmente indizi tali da giustificare una variazione climatica a lungo termine e quindi nel prossimo secolo”.
E con ciò è sistemata anche questa previsione. In definitiva queste ricette sono uguali a quelle del medico di cui sopra: curano tutti i malati autodidatti del tempo e li rendono felici, accrescendo contemporaneamente la vostra bravura di scienziato, perché se vi chiedono: “Il clima sta cambiando?” in fondo già credono che il clima è cambiato e aspettano solo la conferma dell’esperto per sentirsi in pace, appagati dal proprio infallibile genio e della propria ineccepibile diagnosi, anche se frutto dei dotti consigli propinati al pubblico mediante ‘fascisoli settimanali’, con omaggio di un altro fascicolo e della copertina del dizionario del “So tutto io”.
Vincenzo Ferrara
(da http://wwww.svipop.org)
Al Direttore de “Il Messaggero”
e p.c. al Dir. del parco dei Castelli Romani
ed al comandante della stazione della
Forestale di Rocca di Papa.
Sig., Direttore,
non è la prima volta che il suo giornale in modo fazioso ed unilaterale se la prende con il mondo venatorio; ma quello che colpisce nell’articolo di Luigi Jovino del 4 settembre 2007 nella pagina dei “Castelli “ va oltre ogni limite per la confusione delle tematiche trattate e la superficialità delle argomentazioni, L’equivalenza piromani-attività venatoria è di una faziosità unica, come è frutto di ignoranza e pregiudizio accostare il termine “cacciatori” a “frodo”. Questi che vengono chiamati “cacciatori di frodo”, in italiano si chiamano bracconieri e sono i primi ad infangare la figura del cacciatore .Lo sappiamo fin troppo bene quanto sia facile “sparare nel mucchio”, senza far riferimenti a fatti documentati ed a persone che abbiano un nome ed un cognome: questo, in italiano, si chiama “qualunquismo” ed ha l’amaro sapore della calunnia ; come è facile prendersela con categorie di persone serie che hanno sempre avuto l’ambiente a cuore e sono orgogliose di esibire il proprio porto d’armi che rappresenta la carta d’identità della loro onestà.
Sig. direttore, ci dica un motivo, uno solo per cui noi cacciatori dovremmo diventare martiri dei qualunquisti e calunniatori.
Se i giornalisti che scrivono per il suo giornale, invece di documentarsi ed ascoltare anche la controparte, si limitano ad assemblare “brodaglie”, vuol dire che “Il Messaggero” non merita di essere preso in considerazione dal mondo venatorio.
Nessuno mette in dubbio che nel “Parco dei Castelli” siano andati in fumo trecento ettari di bosco (in Italia, da stima ancora approssimativa, sono stati bruciati circa centomila ettari e, guarda caso, si tratta in gran parte di aree “protette”). Ma, se queste aree, grazie anche all’attività venatoria, si sono mantenute integre per tanto tempo, come si spiega che una volta “protette” vengono distrutte?
Noi non siamo, per partito preso, contro i parchi ma quando dall’”alto” si cala la scure del no, del tutto vietato e queste aree “protette “ diventano vuoti santuari o peggio ancora discariche a cielo aperto, come pensare che i cittadini non possano ribellarsi?
Purtroppo, in questo caso, il fuoco ha il sapore della rivincita, vile se vogliamo, ma di una rivincita dell’escluso nei confronti di “corpi estranei”, di “fantasmi burocratici” che, senza chiedere consenso, si sono impadroniti dei loro beni che spesso non riescono a gestire con dignità, A tal proposito, nell’articolo già citato, il direttore del Parco dei Castelli Romani invita “i privati a segnalare ed a risanare le discariche”. Ma un consiglio di amministrazione non ha il compito di impedire che queste cose accadano?
Un caldo invito ad essere meno generico vorremmo rivolgerlo, infine, al comandante della Forestale di Rocca di Papa quando afferma che:”l’ottanta per cento dei focolai sono stati appiccati per favorire l’attività venatoria di frodo” e di ciò si riserva di “presentare rapporti”.
Al comandante rispondiamo:” Fuori i nomi, i cognomi col numero di porto d’armi e licenza da caccia di quelli che lei accusa!”. E’ grave che un uomo delle Istituzioni lanci gravi accuse, prima ancora di esibire dati certi. Attendiamo i nomi o smentisca quanto ha dichiarato!
Un’ultima riflessione: nello scrivere queste cose (ne avremmo fatto volentieri a meno!) ci assale una grande tristezza al pensiero che oggi vengano bruciati quei luoghi, “protetti” ove per decenni abbiamo esercitato in serenità l’attività venatoria ; ma una tristezza maggiore nasce dalla constatazione che animalisti carichi di rancore, di pregiudizi e d’ignoranza tentino d’incendiare la reputazione dei cacciatori.
Direttore, sappia che la calunnia è la virtù dei vili!!!
Con ossequi, il prof. Ubaldi Domenico
Giovedì 9 agosto, al mattino, guardo distrattamente il TG5 finché appare il volto del simpatico colonnello Mario Giuliacci per aggiornarci sulle previsioni del tempo. Scopriamo così che dopo giorni di piogge e vento al centro nord e temperature nettamente più basse della norma in tutta Italia, le temperature risaliranno leggermente nel fine settimana ma dopo Ferragosto ci sarà ancora un’ondata di maltempo. Insomma, conclude Giuliacci, “possiamo dire che l’estate è finita”.
Finita? Come è finita? Con pochi giorni di caldo intenso a giugno (peraltro quasi esclusivamente nel sud) e un po’ di caldo a luglio? Io me lo ricordo bene il colonnello (in pensione) Giuliacci quando a febbraio-marzo – dopo un inverno eccezionalmente caldo – imperversava in tv e sui giornali annunciandoci con il suo sorriso che saremmo andati incontro a un’estate torrida, forse addirittura peggio di quella del 2003, quella dei tanti anziani morti tanto per intenderci.
E non era solo: ci ricordiamo bene il colonnello Giancarlo Bonelli (ex volto meteo del TG2) a una puntata di Porta a Porta, quando ci mostrò tutte le mappe che prevedevano il tempo estivo mese per mese. Faceva sudare soltanto a sentirlo, non c’era scampo: i modelli elaborati dal computer annunciavano senza tema di smentita che bisognava prepararsi a un’estate da incubo.
Leggermente più prudente Giampiero Maracchi, climatologo del CNR di Firenze, che all’inizio di aprile correggeva al ribasso le previsioni, almeno per la seconda parte di agosto, ma guai a rilasssarsi. Perché – ci spiegava – “il clima è ormai guasto” e quindi possiamo aspettarci di tutto.
Sono solo alcuni esempi, ma tutti ricordiamo l’incessante martellamento che è andato avanti per mesi sull’estate terribile che stava per arrivare. Tanto che, secondo quanto riportato dai giornali, le vendite di condizionatori d’aria sono schizzate alle stelle con un aumento nel 2007 del 40% su un fatturato peraltro già rilevante visto che in Italia ci sono oltre 13 milioni di apparecchi (del resto sono anni che ci terrorizzano con il caldo che verrà). Salvo poi lanciare l’allarme black-out alle prime giornate calde di luglio, e giù inviti a non usare i condizionatori, l’iniziativa di non portare giacca e cravatta e altre stupidaggini del genere.
E come dimenticare che dopo aver previsto per mesi un’estate torrida abbiamo visto il colonnello Giuliacci tra maggio e giugno fare la pubblicità per i condizionatori d’aria, senza peraltro che neanche un’associazione di consumatori abbia, non dico denunciato, ma almeno sollevato un dubbio sulla correttezza di questi comportamenti (vogliamo parlare di conflitto d’interessi)?
E adesso ci vengono a dire che l’estate è finita, come se nulla fosse, come se non avessero detto prima quello che hanno detto. E il prof. Maracchi, sul Corriere della Sera dell’11 agosto, mescola le carte riuscendo a dimostrare che ha ragione lui: “Il clima è guasto”, questo è il problema, continua a ripetere. Ma allora, perché continuano ad andare su tutti i giornali e tv facendo previsioni che si rivelano puntualmente errate ma che intanto – oltre a gonfiare il loro portafoglio - creano “un’ansia globale”, come ha giustamente detto Giuliano Ferrara sul Foglio?
Io credo che “guasti” siano questi signori e sarebbe ora che si cominciasse a valutare i danni che stanno provocando e a chiedergliene conto. Ad esempio, potrebbero cominciare coloro che hanno acquistato un condizionatore senza neanche averlo usato: perché non chiedere al colonnello Giuliacci di rimborsare i cittadini turlupinati?
Riccardo Cascioli
Ultimo decreto ecologista del 7 giugno 2007.
Scarica i PDF: Documento 1, Documento 2
L'impronta ecologica, il concetto posto come fondamento dell'ultimo Rapporto del WWF (Living Planet 2006) è una enorme truffa ideologica, che ha lo scopo di convincere l'opinione pubblica e i politici di una situazione catastrofica già in atto da cui si può uscire soltanto seguendo le politiche volute dagli ecologisti. Obiettivo: bloccare la crescita economica dei Paesi ricchi e impedire lo sviluppo dei Paesi poveri.
L'obiettivo vero è quello di guidare il mondo verso una povertà generalizzata. Basterebbe guardare il grafico che raffigura la situazione dell'impronta ecologica paese per paese: i migliori dal punto di vista ecologico sono: Afghanistan, Somalia, Bangladesh, Malawi, Haiti, Repubblica Democratica del Congo e così via, ovvero Paesi alla fame o quasi; mentre i più dannosi per il pianeta, guarda caso, sono tutti i Paesi ricchi.
Quanto poi al discorso delle risorse, siamo alle solite: ancora una volta viene data l'idea che le risorse siano un dato conosciuto e immutabile, deciso dalla natura. Ma non è così: nel corso della storia le risorse sono sempre andate aumentando e diversificandosi grazie all'ingegno dell'uomo che ha saputo usare della natura. La risorsa più importante è perciò l'uomo, proprio quello che WWF e soci considerano il cancro del pianeta.
Catastrofico per l'umanità e per il pianeta sarebbe quindi soltanto seguire le indicazioni del WWF che, nella migliore tradizione ecologista, fa dell'allarmismo una fiorente industria.
Chi volesse andare a fondo della truffa e dei veri obiettivi dei sostenitori dell'impronta ecologica, dal 7 novembre può acquistare in libreria "Le Bugie degli ambientalisti – 2" (Edizioni Piemme, Euro 12,90) che completa il lavoro già iniziato con il primo "Bugie degli Ambientalisti" (Piemme 2004, Euro 12,50). L'uscita del nuovo volume sarà accompagnata anche dal lancio del sito http://www.lebugiedegliambientalisti.it, in cui i lettori potranno anche inviare i loro contributi.
Riccardo Cascioli
(da http://wwww.svipop.org)
Ha scritto tredici libri, venduto circa 100 milioni di copie in 30 paesi. Dai suoi libri sono stati ricavati 12 film per un incasso di 4 miliardi di dollari.
E' l'autore di Jurassic Park, e della serie televisiva E.R. Si chiama Michael Crichton ed è considerato a ragione uno degli scrittori più influenti al mondo.
Attualmente Crichton si trova nel bel mezzo di una polemica rovente con i gruppi ambientalisti.
La causa del contendere è il suo ultimo libro “State of Fear” in cui racconta la storia di un gruppo di ecoterroristi senza scrupoli che fabbrica terremoti, slavine e tsunami artificiali, poco prima dell'annuale conferenza stampa, per terrorizzare il mondo sui rischi (inesistenti) del riscaldamento globale.
Il libro che uscirà in Italia a fine maggio edito dalla Garzanti, è stato stampato in due milioni di esemplari e sta vendendo ad un ritmo superiore di quello del “Codice Da Vinci”.
“Nel libro - ha raccontato Alessandra Farkas in un articolo pubblicato in prima pagina dal Corriere della Sera - il global warming ( riscaldamento globale) altro non è che una perfida invenzione di scienziati in malafede, a caccia di soldi e riflettori, in combutta con giornalisti troppo liberali e star hollywoodiane narcisiste e incoerenti” (Alessandra Farkas “Il mio bestseller contro le bugie della tribù ecologista” - Il Corriere della Sera, 9 gennaio 2005)
Nell'intervista concessa la Corriere della Sera, Crichton racconta “Questo libro è il frutto di ben tre anni di studio e meticolose ricerche scientifiche. Non mi sono servito di alcun consulente, perché la scienza del clima è molto politica e non volevo essere influenzato in una direzione o nell'altra. Alla fine ho tratto le mie conclusioni”.
Lo scrittore ritiene che “La correlazione tra inquinamento ed effetto serra non è mai stata dimostrata, così come nessuno può predire con esattezza quali temperature avremo tra 100 anni. Ben due terzi dell'aumento nello stato termico della crosta terrestre è avvenuto prima della rivoluzione industriale. E quindi non è affatto causato dalle emissioni umane”.
Sul protocollo di Kyoto Crichton sostiene che si tratta di “Una follia inutile, uno spreco assurdo di trilioni di dollari che sarebbero meglio spesi per dissetare il miliardo di abitanti della Terra senza acqua potabile. Di cui ventimila muoiono ogni anno”.
Gli ecologisti statunitensi si sono molto irritati per il libro di Crichton, ma lui non si è per niente agitato e dice di “offrire speranza alla gente, perché la situazione non è affatto drammatica come ci vogliono dare a bere”.
Alla fine del suo libro Crichton afferma che “i verdi hanno provocato altrettanti danni dei grandi inquinatori” (vedi www.crichton-official.com)
(da GWN del 2005)
La Danimarca è la nazione considerata tra i pionieri dell'energia eolica. Secondo i Verdi gli impianti eolici in Danimarca producono il 18% dell'energia elettrica, ma “Politiken”, uno di più autorevoli e diffusi quotidiani di Copenhagen ha pubblicato i dati relativi al 1999 da cui risulta che solo l'1,7% dell'energia elettrica danese proviene da fonte eolica.
In termini generali il potenziale energetico danese è grande, ma bisogna tenere conto che gli impianti eolici operano a pieno regime solo uno o due giorni al mese. Le torri con le eliche infatti non operano bene quando il vento è troppo debole e non raggiunge la velocità di picco ed anche quando il vento è troppo forte e potrebbe distruggere le torri.
A causa degli investimenti sulla fonte eolica, che produce poco o nulla, il prezzo dell'energia elettrica danese è il più alto del mondo. I danesi pagano l'energia elettrica, 1,6 volte il prezzo pagato dai britannici. Una recente indagine sull'energia danese condotta dal Norwegian Water Resources and Energy Administration (NVE) si è conclusa indicando l'energia eolica come «quella più cara». Secondo l'NVE il tentativo danese di puntare sull'energia eolica ha prodotto risultati molto deludenti: numerosi incidente che hanno danneggiato l'ambiente naturale, una produzione energetica insufficiente e costi proibitivi.
data la situazione, il nuovo governo danese sta pensando seriamente di ridurre i finanziamenti per gli impianti eolici.
Secondo il giornale più popolare danese “Jyllandsposten”, in assenza di finanziamenti statali non sarà possibile costruire nessun altro impianto eolico.
Il vento ed il sole sono gratuiti, ma il problema è quello di trovare il modo di utilizzarli in una forma efficiente ed accumulare la forza della loro energia.
Le tecnologie finora utilizzate si sono mostrate inadeguate allo scopo.
I francesi per esempio hanno puntato sul nucleare, ed i risultati sono ben differenti. L'80% dell'energia elettrica francese viene generata da impianti nucleari, con emissioni di anidride carbonica (CO2) che sono dieci volte inferiori a quelle della Germania e 13 volte inferiori a quelle danesi.
La Finlandia ha considerato questi risultati e per questo nel maggio del 2002 ha approvato un piano per la costruzione del quinto impianto nucleare.
Per i Verdi si crea quindi una situazione paradossale, se veramente credono alla teoria del “riscaldamento globale”, dovrebbero sostenere la costruzione di impianti nucleari e dighe, due delle fonti che producono energia con minor emissioni di gas serra.
Ma come è noto, nucleare e impianti idroelettrici non sono proprio quelli che i Verdi avversano di più.
(da GWN)
Gli impianti per la produzione di energia eolica, oltre ad essere costosi ed inefficienti, sono anche pericolosi, soprattutto in certe condizioni climatiche. D'altro canto non si può pensare di costruire impianti eolici in luoghi dove il vento non è forte.
Uno degli ultimi incidenti è avvenuto in Bassa Sassonia il 27 ottobre 2002 quando il Ciclone "Jeanett" è stato così potente da tirar via una turbina a vento che aveva le fondamenta con un diametro di 13 metri.
I danni ammontano a 750.000 Euro. Quando il ciclone ha investito la regione, la turbina a vento era ferma.
Gli esperti sono ora molto preoccupati perché ci sono circa 3200 turbine a vento in Bassa Sassonia e le condizioni di sicurezza non sembrano più garantite.
A questo proposito il Presidente della Società di Ingegneri della Bassa Sassonia ha detto alla rivista Focus (2 dicembre 2002) che: «La distanza che divide le torri eoliche, dalle abitazione e dalle autostrade, è troppo piccola. Chiediamo una legislazione per fissare una distanza minima che possa garantire gli standards di sicurezza»
Altre preoccupazioni sono sorte in merito ai controlli di verifica degli impianti. I costi di manutenzione degli impianti eolici sono infatti molto onerosi e per questo vengono ritardati nel tempo. Gli incidenti ricorrenti nelle turbine sembrano dovuti alla rotazione eccessivamente veloce delle pale, un fenomeno che causa la rottura del sistema di frenaggio.
Insomma chi pensava che bastasse costruire dei mulini a vento per produrre energia si sta ricredendo.
(da GWN)
Legge n. 221 del 3.10.2002, diretta ad adeguare l'ordinamento nazionale alla normativa comunitaria, consentendo la caccia in deroga, ovvero la possibilità per le Regioni di derogare ai divieti concernenti la caccia di alcune specie protette.
Breve excursus legislativo:
La Direttiva CE 79/409/CEE relativa alla conservazione degli uccelli selvatici impedisce la cattura di determinate specie ma, all'art. 9, prevede la possibilità per gli stati membri di derogare a tali limiti per vari motivi (salute pubblica, danni alle colture, cattura a scopo di ripopolamento o di ricerca, etc.).
La legge nazionale sulla caccia n.157/92 recepisce integralmente la direttiva 79/409/CEE, ma non contiene una specifica disciplina dei casi e delle procedure di deroga. Pertanto, la disciplina comunitaria sulle deroghe non risulta applicata a livello nazionale. Tale vuoto normativo ha esposto lo Stato Italiano a due richiami della Commissione Europea. Anche la Corte Costituzionale si è pronunciata nel 1999 invitando il legislatore ad emanare una legge quadro sulle deroghe.
Il primo passo è stato compiuto dal d.d.l. 628 che intende consentire alle regioni (competenti in materia venatoria ex art. 117 della Costituzione) di attivare i poteri di deroga previsti dalla normativa comunitaria.
La scelta di affidare l'attuazione delle deroghe alle regioni e province autonome è in linea con i principi amministrativi di sussidiarietà e federalismo, anche se resta l'esigenza di definire a livello nazionale il quadro applicativo generale delle deroghe per evitare attuazioni disomogenee e contraddittorie tra regione e regione.
Il d.d.l. 628, licenziato il 6 febbraio dal Senato e trasmesso subito dopo alla Camera per la sua discussione (ddl n. 2297), si compone di un articolo unico, che inserisce l'art. 19-bis nella l.157/92, il quale:
L'emanazione della legge 221/02, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 239 dell'11/10/2002, pur avendo incontrato una forte opposizione da parte delle forze animaliste nostrane, rappresenta una saggia decisione per una corretta e civile gestione naturalistica.
Questa riforma, tanto auspicata sia dai cacciatori che dai legislatori, pone le basi per una rapida definizione del quadro normativo sulla caccia in deroga a livello regionale, consentendo a queste ultime di disciplinare, nell'ambito del proprio territorio, le deroghe previste dall'art. 9 Direttiva 79/409/CEE.
Sin qui la legge,spetta ora alle Regioni emanare singole leggi attuative della 221/02 per disciplinare le deroghe su base territoriale, a seguito di un legge quadro propedeutica che illustri gli elementi generali da prendere come punto di partenza per legiferare a livello regionale.
Siamo il solo Paese al mondo che produce il 90% dell'energia bruciando petrolio e gas: ossia materie prime sempre più rare, preziose e costose. Il costo del caro-energia si riflette sulle nostre industrie, sui nostri prodotti, e li rende meno competitivi. E tutto perché tanti anni fa, ai tempi di Chernobyl, gli ecologisti nostrani ingiunsero la chiusura di tre nostre piccolissime centrali, a Latina, Caorso e a Trino Vercellese e bloccarono la costruzione della centrale di Montalto di Castro: emotività pura. Oggi, la moda ecologista è cambiata: allora era la paura delle radiazioni, adesso è la paura delle emissioni, dei fumi, dell'effetto serra.
L'emotività nuova dovrebbe consigliare il ritorno al nucleare: la sola fonte (con l'idroelettrica) che ha un impatto ambientale inferiore alle altre. Gli ecologisti allora imposero, sull'onda della paura del momento, addirittura lo smantellamento delle centrali atomiche italiane.
Ora, è costosissimo smantellare centrali nucleari; molto meglio lasciarle così, sigillarle e via. Ma niente, le stiamo ancora smantellando (ci vogliono anni).
Ma ancor oggi, sarebbe meno costoso rimetterle in funzione: secondo la Westinghouse, tra le aziende leader nella progettazione di centrali atomiche, basterebbero tre anni.
Sarebbe un piccolo apporto ai nostri consumi energetici, certo meno dell'1%.
Ma col rincaro in atto del petrolio, anche un 1% di risparmio si calcola a milioni di euro.
Si sente dire che il nucleare «costa troppo»: in realtà, costa 2-3 centesimi di euro al kwh, contro i 9-10 centesimi dell'elettricità da petrolio.
Noi compriamo già elettricità nucleare dalla Francia, dalla Svizzera, dalla Slovenia, presto anche dalla Slovacchia perché è più conveniente. Si sente ripetere continuamente che gli USA, per esempio, non costruiscono più una centrale da 32 anni. Ma in USA la vita delle centrali nucleari esistenti, attraverso interventi di ammodernamento (repowering) è stata prolungata fino a 50 anni e la benzina costa ancora 3 dollari per 4,5 litri (un gallone). E la Cina, che ha già 9 centrali atomiche, ne ha ordinate altre 30, per una spesa di 50 miliardi di dollari. La Finlandia, che ne ha quattro, ha iniziato a costruire la quinta. E così la Francia, che ne ha 59 ne ha messo in cantiere una nuova. In Giappone, il 30% dell'energia proviene dall'atomo. Eppure il Giappone è un paese altamente sismico: sono stupidi i giapponesi? Siamo noi i soli furbi nel mondo? La tecnologia è andata avanti parecchio: oggi la sicurezza del nucleare è elevatissima, con centrali auto-spegnenti e a nucleo totalmente confinato. In Italia abbiamo persino i tecnici competenti: una generazione di ingegneri nucleari, che si è vista chiudere la professione e la carriera dall'emotività tutta nostra, s'è tenuta in esercizio andando a lavorare in giro per il mondo, spesso a rimodernare le vecchie e (quelle sì) pericolose centrali ex-sovietiche in Ucraina e in Bielorussia.
Possono tornare a lavorare in patria. Ma perché in Italia se ne parla poco?
Perché la principale associazione di categoria degli industriali non chiede energia più economica?
Forse sono più occupati a fare i finanzieri e pubbliche relazioni. Ecco perché. Loro, non hanno bisogno di energia a costi concorrenziali, perché vivono esigendo bollette e tariffe, o di «immagine» e di acrobazie finanziarie.
Dobbiamo svegliarci noi utenti comuni, che paghiamo la luce il triplo che nel resto d'Europa. E qui, dobbiamo farci forza e smettere di essere imprevidenti: perché le centrali nucleari hanno un problema: ci vogliono diversi anni per costruirne una. Bisogna guardare avanti in tempo.
Prima che ci capiti in testa la solita "emergenza".
Antonio Gaspari
da GWN n° 15 del 2005
CLIMA - Ma davvero il mondo si sta scaldando troppo?
L' aumento globale delle temperature nel Ventesimo secolo è stato
di circa sei decimi di grado: faremmo meglio ad occuparci di problemi
più concreti come la povertà o l' Aids.
MICHAEL CRICHTON
Prendiamo in considerazione i dati sul surriscaldamento globale.
Cominciamo con i riassunti per i politici, quelli che tutti leggiamo.
Ecco i due grafici più importanti per la scienza del clima per il
2001. Il primo (vedi qui accanto il grafico n. 1, n.d.r.) proviene
dall' Hadley Center, in Inghilterra, e mostra il surriscaldamento
globale della superficie terrestre. Il secondo proviene da un team
di ricercatori americani guidati da Michael Mann e mostra le temperature
degli ultimi mille anni. Il primo grafico evidenzia un aumento delle
temperature di quattro gradi prima del 1940, cioè prima del massiccio
sviluppo industriale, e dunque potrebbe o meno avere cause principalmente
naturali. Poi, dal 1940 al 1970, le temperature sono diminuite. Per
questa ragione all' epoca si diffuse la paura di una glaciazione
globale. Da allora le temperature sono salite, come potete vedere.
Sono aumentate di pari passo con i livelli dell' anidride carbonica.
Il nocciolo della teoria del surriscaldamento causato dal CO2 si
basa su questo dato recente, relativo agli ultimi trentacinque anni.
Ma dobbiamo ricordare che questo grafico mostra in realtà le variazioni
annuali della temperatura media della superficie terrestre nel corso
degli anni. La temperatura media globale è di circa sedici gradi.
Questo grafico mostra la totalità delle variazioni medie (vedi grafico
n. 2, n.d.r.). Tutte le preoccupazioni riguardo al surriscaldamento
globale si basano su questa piccola variazione di temperatura sulla
superficie. Che sia chiaro: sto leggendo i dati dei grafici minimizzandoli.
Ma il primo grafico li enfatizzava. In qualsiasi modo si leggano
i dati, la prima domanda da porsi è: l' aumento della temperatura
nel corso del Ventesimo Secolo è davvero straordinario? Per rispondere
a questo interrogativo, dobbiamo rifarci al secondo grafico di Michael
Mann, meglio conosciuto come "la mazza da hockey" (vedi il grafico
n. 3, n.d.r.). Questo grafico mostra il risultato di una ricerca
su 112 studi cosiddetti "approssimativi": anelli degli alberi, isotopi
nel ghiaccio, e altri indicatori relativi alla temperatura. Ovviamente
mille anni fa i termometri non esistevano, perciò questo tipo di
studi si rende necessario per avere una qualche idea dell' aumento
della temperatura nel passato. Le scoperte di Mann sono al centro
dell' ultimo rapporto delle Nazioni Unite, e sono alla base della
teoria secondo cui il Ventesimo Secolo ha registrato il maggiore
aumento delle temperature degli ultimi mille anni. Questo è ciò che
venne detto nel 2001. Nessuno lo ripeterebbe ora. Il lavoro di Mann
è stato attaccato da studiosi di tutto il mondo. Due ricercatori
canadesi, McKitrick e McIntyre, rifecero lo studio usando i dati
e i metodi di Mann, e riscontrarono dozzine di errori, incluse due
serie di dati che mostravano esattamente gli stessi valori per un
gran numero di anni. Com' era prevedibile, quando i due corressero
tutte le inesattezze, arrivarono a conclusioni decisamente diverse.
Ma quest' aumento è comunque vertiginoso e insolito, non è vero?
Beh, no, perché si scopre che Mann e i suoi colleghi hanno usato
metodi inusuali per analizzare i dati, e questi metodi trasformano
qualsiasi serie di numeri in una "mazza da hockey" - inclusi i numeri
che non indicano alcun trend, come quelli originati dai computer.
Ecco una serie di "mazze ha hockey" prodotte da numeri che non indicano
alcun trend. Una di queste serie è la vera "mazza da hockey". Se
non riusciamo a dire qual è, allora viene fuori il problema (vedi
grafico n. 4, n.d.r.). Il fisico Richard Muller dell' Università
della California ha definito questo risultato "sconvolgente", e a
ragione. Hans von Storch, dell' Università di Francoforte, ha giudicato
lo studio di Mann "spazzatura". Entrambi questi signori sono fermi
sostenitori del surriscaldamento globale. Ma visto che questo studio
non può farci da guida, ci ritroviamo comunque a chiederci quale
debba essere il "normale" aumento delle temperature. Diamo un' occhiata
ai dati provenienti da un paio di stazioni di rilevamento europee
(vedi grafico n. 5, n.d.r.). Qui si nota come l' attuale aumento
delle temperature, anche se significativo, non è affatto unico nella
storia. Parigi era più calda negli anni Cinquanta del Diciottesimo
Secolo e negli anni Trenta del Diciannovesimo di quanto non lo sia
oggi (vedi grafico n. 6, n.d.r.). Analogamente, se prendiamo in considerazione
Stoccarda dal 1950 a oggi, l' aumento appare drammatico. Se si considerano
i dati nel loro complesso, tutto assume una prospettiva diversa.
E scopriamo che anche a Stoccarda faceva più caldo nel Diciannovesimo
Secolo, rispetto a oggi. Questi grafici provengono dal sito Web del
GISS e risalgono al periodo in cui feci le ricerche per il mio libro.
Se pensate che la scienza in questo campo sia del tutto chiara -
e onesta - dovete prendere in considerazione il fatto che i dati
del sito Web sono stati cambiati. Non ho alcun commento da fare sulla
decisione da parte del Goddard Institute di cambiare i dati sul suo
sito Web. Ma la cosa fa sembrare che i dati sulle temperature tendano
a salire in modo assai più evidente e preoccupante rispetto ad appena
pochi mesi fa. D' accordo. Ma ora dobbiamo farci un' altra domanda:
se nel corso del Ventesimo Secolo c' è stato un aumento della temperatura,
che cosa l' ha provocato? Ci hanno insegnato che l' aumento è provocato
dall' anidride carbonica, ma tutto ciò non è affatto chiaro. Due
fattori che in precedenza non suscitavano preoccupazioni sono ora
oggetto di rinnovata attenzione da parte degli scienziati. Il primo
è il sole. In passato, si immaginava che l' effetto del sole fosse
abbastanza costante e che perciò ogni aumento della temperatura dovesse
essere causato da qualche altro fattore. Ma ora, grazie al lavoro
degli scienziati del Max Planck Institute in Germania, è chiaro che
l' effetto del sole non è costante, e che, se prendiamo in considerazione
un arco di tempo di mille anni, risulta che questo effetto sta raggiungendo
il suo apice proprio in questo periodo. I dati qui riguardano il
rapporto tra le macchie solari e la temperatura (vedi il grafico
n. 7, n.d.r.). Solanki e i suoi colleghi hanno scoperto che le radiazioni
solari e la temperatura della superficie terrestre sono correlate.
Solanki sostiene che l' effetto del sole non basta a spiegare le
temperature attuali, e che perciò bisogna tenere conto di un altro
fattore, presumibilmente i gas serra. Ma a questo punto dobbiamo
chiederci se l' effetto del sole non spieghi significativamente l'
aumento delle temperature nel Ventesimo Secolo. Nessuno ne è certo.
Ma pare plausibile pensare che lo sia in misura maggiore rispetto
a quanto non si credesse qualche anno fa. Un altro fattore che potrebbe
influenzare i dati è il calore generato dalle città. Si tratta dell'
effetto "isole di calore urbane". Un tempo gli scienziati ritenevano
quest' effetto relativamente secondario. Ma ora sappiamo che in molte
città si registrano 7 o 8 gradi in più rispetto alla campagna circostante.
Alcuni studi hanno indicato che i dati vanno necessariamente rettificati
(con una tolleranza da quattro a cinque volte maggiore rispetto a
quella considerata dall' IPCC). Ora, che cosa significa tutto ciò?
Beh, ricordatevi che l' aumento globale delle temperature nel Ventesimo
Secolo è stato di circa sei decimi di grado. Se l' attività agricola
e il riscaldamento urbano determinano un aumento di 0,35º C, e il
calore solare di altri 0,25º C - come studi separati hanno indicato
- allora il riscaldamento attribuibile all' anidride carbonica diventa
minore. Lasciatemelo ripetere: nessuno sa quale percentuale del riscaldamento
a cui stiamo assistendo sia attribuibile all' anidride carbonica.
Ma se l' anidride carbonica non rappresenta la causa principale,
non pare avere molto senso ridurne le emissioni. Abbiamo molte buone
ragioni per limitare la nostra dipendenza dai combustibili fossili,
ma la paura del surriscaldamento globale forse non è una di queste.
(In ogni caso, credo che l' abbandono dei combustibili fossili avverrà
nel corso del prossimo secolo, senza bisogno di leggi in proposito,
così come i trasporti a cavallo scomparvero senza bisogno di alcuna
legislazione in merito durante il Ventesimo Secolo). Ora arriviamo
alla domanda più importante. Che cosa accadrà in futuro? Per rispondere
a questo interrogativo, dobbiamo fare riferimento a un organismo
delle Nazioni Unite conosciuto come Intergovernmental Panel on Climate
Change. L' IPCC, il metro di misura in fatto di scienza del clima.
Il suo studio scientifico più recente è il Third Assessment Report,
del 2001. Contiene i dati più aggiornati raccolti sul campo dagli
scienziati. Vediamo che cosa dice questo testo. Cominciamo con il
primo paragrafo del Third Assessment Report, The Climate System:
An Overview: «I cambiamenti e le variazioni climatiche, causate da
forze esterne, possono essere in parte prevedibili, in particolare
su larga scala, da un punto di vista globale, continentale e spaziale.
Dato che le attività umane, come l' emissione dei gas serra e i
cambiamenti nell' uso del territorio, fanno parte delle forze esterne,
si ritiene che i cambiamenti del clima su larga scala causati dall'
uomo siano anch' essi parzialmente prevedibili. Tuttavia l' effettiva
possibilità che ciò avvenga è limitata, perché non possiamo prevedere
con precisione i cambiamenti demografici ed economici, né gli sviluppi
tecnologici, né altre importanti caratteristiche delle future attività
umane. Perciò, in pratica, è necessario attenersi a scenari credibili
del comportamento umano e determinare le proiezioni climatiche in
base a tali scenari». Analizziamo il testo frase per frase, e semplifichiamolo.
Le quattro frasi significano: 1) Il clima può essere in parte prevedibile.
2) Crediamo che il cambiamento del clima causato dall' uomo sia
in parte prevedibile. 3) Ma non possiamo prevedere il comportamento
umano. 4) Perciò ci atteniamo a scenari ipotetici. Seguire una logica
in tutto ciò non è facile. Che cosa significa in realtà "in parte
prevedibile"? E' come dire "in parte incinta"? In ogni caso gli scienziati
non hanno la certezza che si tratti di cambiamenti anche solo parzialmente
prevedibili. Dicono che potrebbero essere parzialmente prevedibili.
E andando oltre, se non siamo in grado di fare previsioni esatte
riguardo alla popolazione, allo sviluppo e alla tecnologia. com'
è possibile formulare scenari credibili? Che cosa significa "scenari
credibili" in assenza di previsioni accurate riguardo ai fattori
fondamentali per i suddetti scenari? Sono ingiusto? Continuiamo la
lettura: «Allo stato attuale, le conoscenze degli scienziati sono
tali che è possibile solo fornire esempi illustrativi dei possibili
sviluppi». Esempi illustrativi. Il Trattato di Kyoto è un progetto
immane, e su scala mondiale costerà alcuni trilioni di Euro. Se intendiamo
spendere tali somme, vorrei fondare una simile decisione su qualcosa
di più sostanziale di semplici "esempi illustrativi". Le mie preoccupazioni
aumentano quando leggo: «Oggi i modelli climatici sono praticamente
in grado di simulare i cambiamenti del clima a partire dal 1850».
Sono praticamente in grado? Non è una frase che esprima molta fiducia.
Ricordate, non si può essere in grado di prevedere il futuro. Si
può riprodurre il passato. Non pare che questi modelli funzionino
davvero a meraviglia. Perciò sembra ragionevole chiedersi come vengano
testati nella realtà. Più avanti, leggiamo: «Sebbene non si creda
che la complessità di un modello climatico renda impossibile anche
solo dimostrare che tale modello sia "falso" in senso assoluto, tale
modello si presta comunque a valutazioni estremamente difficili,
stante il rischio che in ogni calcolo entri in gioco una componente
soggettiva». Ora, il termine "soggettivo" dovrebbe far suonare un
campanello d' allarme. La scienza, per definizione, non è soggettiva.
Vi ricordo che questo è precisamente il genere di problematica che
ha fatto infuriare gli americani contro la Food and Drug Administration.
Tutti sanno che non si può permettere che un produttore di medicinali
testi per conto suo il farmaco che produce lui stesso. Allora perché,
quando è in ballo la questione del clima, consentiamo a coloro che
creano i modelli climatici di legittimare i loro modelli? Gli errori
dell' auto-testing sono noti. Come disse James Madison, presidente
degli U.S.A. nel Diciannovesimo Secolo: «A nessuno è permesso di
essere giudice della propria causa, perché i suoi interessi influenzerebbero
di certo la sua capacità di giudizio, e probabilmente corromperebbero
la sua integrità». Madison ha ragione. La scienza climatica deve
essere verificata da studiosi super partes. Più avanti, si legge:
«Le previsioni a lungo termine sullo stato del clima non sono possibili».
A mio parere, a questo punto dovremmo smettere di leggere. Se il
sistema climatico è non-lineare e caotico - e ci stanno dicendo proprio
questo - , allora la sua evoluzione non può essere prevista. E se
non può essere prevista, noi qui che ci stiamo a fare? Perché ci
preoccupiamo di cosa sarà di noi nel 2100? Non possiamo prevedere
il futuro, ma possiamo conoscere il presente. Ogni ora, nel Terzo
Mondo muoiono 2000 persone. Un bambino rimane orfano a causa dell'
AIDS ogni sette secondi. Ogni minuto muoiono cinquanta persone per
malattie dovute alla mancanza di acqua potabile. Tutto questo non
deve succedere per forza. Siamo noi a permetterlo. Perché mai ignoriamo
queste disgrazie dell' umanità e ci concentriamo su ciò che potrebbe
accadere tra un secolo? Ciò che dobbiamo fare non è forse sensibilizzare
sui problemi del resto del mondo il nostro Occidente, così enormemente
ricco e così concentrato su sé stesso? La crisi globale non ci aspetta
tra cent' anni - è già qui e ora. Dovremmo occuparcene. Ma non lo
facciamo. Al contrario, ci aggrappiamo alle dottrine reazionarie
e anti-umanitarie del vecchio ambientalismo e volgiamo le spalle
alle grida di dolore di chi - in questo nostro mondo - muore di fame
e soffre di malattie che possiamo curare. Se davvero abbiamo miliardi
e miliardi di Euro da spendere, spendiamoli per i nostri simili.
E non per le nostre improbabili fantasie su ciò che accadrà da qui
a cent' anni. Copyright Michael Crichton. Traduzione di Barbara Bagliano
da La Repubblica
del 10-05-05
L'«allegra» gestione del Parco Nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise
Pubblichiamo l'articolo di Antonio Gaspari, in uscita sulla rivista "Tempi", n. 11, 14-20 marzo '02:
Franco Tassi, il decano dei direttori dei Parchi italiani, uno dei primi soci del WWF, un "idolo" della cultura conservazionista nazionale, è stato "rimosso" dalla direzione del Parco Nazionale D'Abruzzo, Carica che ricopriva dal 1969. Ad annunciare il licenziamento è stato Fulco Pratesi, Presidente del Parco e amico di lunga data di Tassi. Il direttore del Parco sarebbe stato licenziato perché avrebbe fatto registrare di nascosto una riunione del consiglio direttivo. La stampa ha riferito di “cimici e microspie”, anche se la registrazione sembra che fosse stata autorizzata da Pratesi. Sulla vicenda è in corso un'inchiesta della Procura della Repubblica.
Nel frattempo Tassi ha rilasciato a "La Stampa" dichiarazioni di fuoco: «Mi hanno accoltellato alle spalle mentre ero all'ospedale dopo un operazione a cuore aperto. Altro che microspie e servizi segreti, io sono stato colpito da spie, traditori e sicari che non volevano un direttore che si batta per la natura... Contro di me si sono sempre mossi grandi interessi: speculatori, pseudoambientalisti e il governo».
Pratesi che dice di avere il cuore spezzato da questa vicenda; ha detto che Tassi è: «un genio della natura, ha fatto la storia dei parchi in Italia ed è un uomo integerrimo. In realtà, non è solo una questione di "pulci". La gestione di Fulco Pratesi e di Franco Tassi del Parco Nazionale d'Abruzzo nasconde non pochi interrogativi. Basta leggere la Relazione della Corte dei Conti depositata in Parlamento in dicembre 2001, circa la gestione del Parco Nazionale d'Abruzzo, per rimanere di stucco.
Gestione monocratica; conferimento di mansioni superiori in totale contrasto con le leggi vigenti; buchi miliardari nei bilanci; omessa risposta a specifici requisiti concernenti l'attività gestionale; mantenimento di uffici e sedi non previsti dalla legge; mancanza assoluta di trasparenza; consulenze sospette; gravi illegittimità ed irregolarità contabili perpetrate e difese con argomentazioni speciose e infondate. La lista delle violazioni è impressionante. Soprattutto colpisce come una precedente relazione della Corte dei Conti, consegnata nel novembre del 1998, aveva già sollevato urgenti e gravi interrogativi, e denunciato una "situazione di diffusa illegittimità", senza che né il presidente Pratesi, né il direttore Tassi, avessero sentito la necessità di rispondere, facendo luce sulla "non chiara" gestione del Parco. Nel verbale del collegio dei revisori dei conti, numero 36 di quest'anno, si legge che Pratesi e Tassi, avrebbero violato 12 articoli di legge in materia di spese. Nella compilazione dei bilanci sarebbero stati violati i principi di: veridicità, correttezza, attendibilità, chiarezza e competenza finanziaria. Lo stesso verbale evidenzia che al 30 giugno del 2001 risulta un rosso in cassa di 5 miliardi e 300 milioni di lire; lo scoperto di conto corrente bancario è di 3 miliardi e 563 milioni.
Una situazione di irregolarità che la Corte dei Conti e la Ragioneria Generale dello Stato avevano segnalato al Ministero dell'Ambiente che, a sua volta, dal 1999 non ha approvato i bilanci, né consuntivi né preventivi, dell'Ente nazionale Parco d'Abruzzo. Per questa situazione nel 1999 è stata sollevata una richiesta di commissariamento dell'Ente Parco, che l'allora Ministro Edo Ronchi non ha preso in considerazione. Impressionante il numero e la gravità delle violazioni nella gestione del Parco.
Per legge il Ministero dell'Ambiente deve ricevere tutte le delibere del Consiglio direttivo e sottoporle a vigilanza di legittimità. Ma il Presidente e il direttore del Parco non hanno mai fatto pervenire un adeguato e comprovato rapporto delle loro decisioni, all'amministrazione vigilante, sostenendo che essendo atti monocratici sono svincolati dal visto di legittimità. Questo nonostante che la gestione monocratica per i Parchi Storici (Abruzzo, Stelvio e Gran Paradiso) non ha più leggitimazione legislativa da almeno dieci anni.
La Corte dei Conti ha scoperto che nel Parco c'?è un diffuso sistema di assegnazione di funzioni superiori a tutto il personale, in violazione alle leggi vigenti. In particolare i revisori dei conti hanno inviato una richiesta specifica alla Ragioneria Generale dello Stato quando hanno scoperto che al direttore del Parco, Franco Tassi viene riconosciuta una qualifica di Dirigente Generale dello Stato, equiparato cioè a un Presidente di Cassazione, e retribuito con una mensilità lorda di circa 18 milioni e mezzo di lire. La Ragioneria Generale dello Stato ha immediatamente risposto che secondo la legge si trattava di un'attribuzione assolutamente illegittima, e chiedeva che fosse ristabilita la giusta posizione ed eventualmente recuperate le somme indebitamente pagate. Successivamente il Consiglio di Stato ha chiesto il rimborso delle cifre non debite che, secondo calcoli di massima, si aggirerebbero intorno ai 700 milioni di lire.
Inoltre, gli stessi revisori hanno constatato che a tutt'oggi non c'è un contratto tra l'ente Parco e il direttore. Tutti i direttori di parchi sono contrattualizzati con contratti a due o cinque anni rinnovabili, ma sembra che Tassi pretendesse di non sottostare a tale obbligo e che gli fosse riconosciuto il diritto di mantenere la sua carica fino alla pensione senza essere soggetto alla legge. Il modo con cui il Tassi si è attribuito tale qualifica è stato riscontrato anche in una signora nell'amministrazione del Parco che è in funzione di dirigente. Un attribuzione di qualifica in totale contrasto con le leggi vigenti e per questo la Ragioneria Generale dello Stato ha chiesto il recupero delle somme indebitamente pagate.
Secondo la legge l'Ente Parco deve avere la sua sede nel luogo dove c'è la zona protetta, ma il Parco d'Abruzzo ha avuto per anni la sua sede centrale a Roma. Le autorità competenti hanno fatto pressioni affinché si mettesse fine a questa irregolarità, ma Tassi si è tanto opposto fino al punto che il Ministero dell'Ambiente ha accettato che la sede centrale fosse a Pescasseroli e che a Roma ci fosse solo un ufficio di rappresentanza. Nonostante le pressioni della Ragioneria Generale dello Stato, della Corte dei Conti e di quant'altri, la metà degli uffici del Parco sono ancora a Roma, il che significa che ogni volta che si deve tenere una riunione ci sono trasferte da pagare. Inoltre non è chiaro da dove vengono stornati i soldi per pagare l'ufficio di Roma. In un primo tempo l'Ente Parco aveva detto che era la Regione Lazio che provvedeva al pagamento delle spese, ma la Corte dei Conti che ha condotto le indagini e gli uffici della Regione hanno categoricamente smentito il fatto. La Corte dei Conti ha segnalato anche la presenza di un ufficio di rappresentanza del Parco d'Abruzzo a New York. Tale ufficio era presente anche sul sito Internet del Parco. Il Mistero ha provato a chiedere spiegazioni, ma né la presidenza e la direzione del Parco, né la Presidenza della Comunità del Parco, hanno saputo dare spiegazioni.
Nel settembre del 2001, il presidente del Collegio dei revisori dei conti, fa presente al Ministero che nella gestione del Parco risulta un falso in Bilancio. Le carte relative a questa situazione con relativa denuncia, sono state inviate alla Corte dei Conti dell'Aquila, la quale a sua volta si è rivolta alla Procura della Repubblica per le comunicazione di competenza al di là di quelli che sono i problemi di danno erariale.
Dai pochi e frammentari dati forniti dall'Ente Parco, risulta che c'è un debito bancario di 5 miliardi. Molti degli oneri assunti dal Parco non hanno giustificazione. Ci sono per esempio più di 400 milioni di spese legali, quando c'è un'intesa con l'Avvocatura generale dello Stato a cui gli Enti possono rivolgersi in caso di necessità. Decine di milioni spesi per alberghi e ristoranti, senza ragione apparente. Centinaia di milioni spesi per ritenute Irpef e versamenti previdenziali che risultano fuori bilancio. Versamenti inspiegabili, visto che nelle retribuzioni del personale tali spese sono automatiche.
Nonostante la grave situazione del Bilancio, le autorità competenti hanno scoperto che nel 2001 il Parco ha acquistato una Renault Espace, una Land Rover Pretender, una City car quadriciclo e una Audi A4 1800 a benzina. E dire che i 51 dipendenti dispongono già di 54 automezzi a disposizione? La Corte dei Conti ha inoltre bloccato la vendita di una Mercedes che era stata pagata con un assegno dell'Ente Parco e che avrebbe dovuto sostituire un'altra Mercedes acquistata nel 1998 e a disposizione del direttore Franco Tassi. Il quadriciclo elettrico è stato acquistato per poter accedere senza limitazioni nel centro storico di Roma. A questo punto il Ministero ha chiesto il regolamento delle autovetture, chi le usa, perché le usa, i libretti di bordo ecc. Presidenza e direttore del Parco hanno risposto che questa è burocrazia ottocentesca, non esiste un regolamento degli automezzi, non c'è un libretto di bordo e gli automezzi vengono consegnati e utilizzati dal personale.
Sconcerto e preoccupazione ha destato il tentativo di Tassi di costituirsi una sorta di "esercito privato" alle dipendenze del Parco.
Già nel 2000 la Ragioneria Generale dello Stato aveva più volte richiamato l'attenzione su come venivano elargite indennità di polizia (denaro più contributi previdenziali) ai dipendenti del Parco. Ma al Presidente ed al Direttore del parco non bastava che i dipendenti oltre alla mensilità usufruissero dell'indennità, ma che avessero una funzione riconosciuta per operare con maggior autorità sul territorio e di conseguenza che la Prefettura rilasciasse direttamente il porto d'armi a dipendenti del Parco.
In risposta a tale richiesta la Prefettura inviò una formale diffida a ciascuno dei dipendenti del parco, richiamando l'attenzione sul fatto che girare armati senza il regolare porto d'armi è reato penale. Dopo una diatriba durata diversi mesi il TAR del Lazio nel gennaio del 2001 respingeva la richiesta dell'Ente Parco perché: «Non infondatamente verrebbe ad essere riconosciuto un Corpo armato alle dipendenze di un ente pubblico, al di fuori di ogni controllo statuale, sia all'atto dell'assunzione che nel corso dell'espletamento del servizio».
Nel rispondere ad una interrogazione parlamentare riguardante la situazione dell'Ente Parco, il sottosegretario al Ministero dell'Ambiente Roberto Tortoli ha detto che: «nel Parco d'Abruzzo esistono specie più protette che sono il Presidente e il direttore del Parco».
Sarebbe un grave danno per la credibilità delle istituzioni, accontentarsi del licenziamento di Tassi.
È nel pieno diritto dei cittadini italiani, conoscere fino in fondo la verità su quanto è accaduto nella gestione del Parco d'Abruzzo.
Antonio Gaspari
Chi ha avuto la fortuna di fantasticare intorno ad un focolare sa che, coprendo i carboni ardenti con la cenere, il mattino seguente ancora è possibile trovare qualche "tizzone" potenzialmente carico di calore e voglioso di dare vita a nuova fiamma.
Ebbene, fuori metafora, il C.P.A.D. (Caccia-Pesca-Ambiente domani) è quel tizzone sopito, mai spento. Quando, all'incirca un decennio fa, il C.P.A. (Caccia-Pesca-Ambiente) tentò la via politica per difendere i diritti dei cacciatori particolarmrte presi di mira dai movimenti ambientalistici, un manipolo di "irriducibili" si gettò a corpo morto nella mischia, lottando in occasione dei referendum anticaccia e schierandosi contro la legge 157, figlia di padre ubriaco e di madre prostituta, rimasta poi miseramente orfana in giovane età. Anche il C.P.A. è stato ridotto in cenere dai cacciatori stessi che non ebbero il coraggio di dare una decisa spallata politica per farlo decollare. Il C.P.A.D., avendone ereditato la voglia di esserci e di lottare, ne rappresenta il proseguimento. Quella fiamma è ancora viva, quella fiamma siamo noi.
Siamo ancora in prima fila a sperare e lottare per far valere i nostri diritti di liberi cittadini (ormai europei) ed a far pesare il nostro voto politico quando saremo chiamati a farlo .
Attenzione, cari politici, quel tizzone può ancora scottare se non lo si prende per il verso giusto: non è morto!
Ai Verdi, ormai carbonizzati, diciamo che la storia di questi ultimi anni ci ha dato ragione: il cacciatore è e rimane parte integrante dell'anima e della cultura di un popolo ed a quel popolo noi con orgoglio ci vantiamo di appartenere.
Prof. Domenico Ubaldi
Roma