Grazie all'amico dottor Giancarlo Aquilone - il quale mi segnala un comunicato della Rivista "Tempo Medico" del 22 novembre 2001, dandomi notizia anche di un flash on line sull'argomento - mi giunge l'eco (o piuttosto il riverbero) di un fulmine a ciel sereno che è partito dal Centro antiveleni dell'Ospedale universitario di Bordeaux ed è stato irradiato in ogni angolo del pianeta dal "New England Journal of Medicine".
La direttrice del prestigioso Centro burdigalense, Regis Bédry, accusa il Tricholoma equestre, fungo (finora) prelibato, di aver provocato una grave forma di necrosi muscolare, chiamata rabdomiolisi, con 12 casi di intossicazione, di cui tre mortali.
Sintomi dell'aggressione virosa 'conseguente' all'assunzione di più pasti a base di detto Tricholoma: debolezza, dolori muscolari, eritema facciale, nausea senza vomito, sudorazione, iperpnea, colorazione scura delle urine e livelli alti di creatina chinasi. Il rinvio ad un misterioso metabolita responsabile della tossicità muscolare è stato esperito dalla ricercatrice di Bordeaux con l'inoculazione di estratti di detto fungo su topi, i quali facevano registrare, tra l'altro, effetti di disorganizzazione e di necrosi del tessuto muscolare. L'arguto cronista di "Tempo Medico", nel dar notizia del fatto, fa spazio all'ipotesi "che il consumo di quantità notevoli di questo fungo possa smascherare una predisposizione genetica al danno muscolare".
Non è la prima volta, nella storia della micologia moderna, che un fungo giudicato mangereccio dalla dottrina ufficiale si vede inflitta di punto in bianco la taccia di velenosità: a parte le (blande) tossine ultimamente addebitate ex abrupto alla Russula olivacea, prima d'oggi la 'disavventura' più eclatante ha colpito il Cortinarius orellanus, che in brevissimo volger di tempo - in Polonia e poi nel mondo intero - mezzo secolo fa è diventato velenoso mortale, perchè accusato di avere assassinato parecchi cittadini polacchi (quel verdetto di condanna è stato esteso, com'era prevedibile, a molti altri cortinari, con in testa l'orellanoides). Sorte analoga hanno avuto il Paxillus involutus e la Gyromitra esculenta (ora chiamata venefica!).
Già da tempo la letteratura micologica pone in evidenza l'estrema variabilità della specie "equestre", al punto che il Tricholoma in questione è addirittura presentato in letteratura come "specie collettiva" (G. Stecchi), la quale comprende fra gli altri il T. flavovirens e il T. aureum/auratum/arenarium, appartenenti alla sezione a cui il micologo M. Bon ha dato appunto il nome di equestria (sott. Tricholomata). Dal canto suo R. Kühner ha adottato come 'ammiraglia' la specie del Tricholoma sejunctum, creando specularmente il gruppo dei tricolomi sejuncta e suddividendolo in due sottogruppi: quello dei colorata, a cui ha assegnato il Tricholoma equestre (Fr. Ex Lin.) Quél., e quello degli albomaculosa. Evviva Babele!
Senza porre in discussione la serietà scientifica dell'équipe di Bordeaux, si è pertanto autorizzati a ritenere che il 'killer' sotto accusa potrebbe non essere l'equestre verace, identificato a suo tempo da Carlo Linneo; e il pensiero del micologo informato corre irresistibilmente al Tricholoma arvernense Bon, di cui si riporta qui la fedele e strabiliante immagine fotografica proposta dal bravissimo Umberto Nonis, il quale puntualizza che la commestibilità di questo tricoloma, sosia (da adulto) dell'equestre linneano, è ignota (!).
C'è dell'altro. La questione qui dibattuta non potrà dichiararsi definitivamente chiusa se prima non sarà risolta la questione parallela dell'analoga tossicità del porcino, notoriamente celebrato come "re del bosco". Non è di oggi infatti l'inquietante (ed insabbiata) notizia di necrosi locali provocate su cavie da un metabolita misterioso (un peptide?) presente in estratti acquosi di Boletus edùlis (E. H. Lucas ed altri, Antibiot. Chemoth, 7, 1, 1957); ed è molto indicativo il fatto che anche il metabolita chiamato in causa dal Tricholoma equestre sia un 'principio attivo' altrettanto misterioso.
L'esperimento in parola è registrato da A. e M. Ceruti, i quali lamentano l'assenza di altre segnalazioni in letteratura, "quantunque si tratti di uno dei funghi più comuni" (Funghi cancerogeni e anticancerogeni dell'ambiente, degli alimenti, dei mangimi, Quart (Aosta) 1986, pp. 188-189). Se si considera che il "re del bosco" è commercializzato su scala planetaria, quel black-out mediatico risulta troppo facile da spiegare. In questa pagina si tornerà sull'argomento dopo aver acquisito eventuali dati ulteriori.
Foto 1: Esemplari di Tricholoma equestre nella riproduzione presentata da "Tempo medico".
Foto 2: Tricholoma equestre Linneo ex Fries (dal testo di U. Nonis).
Foto 3: Tricholoma arvernense Bon (dal testo di U.Nonis).