Il vespaio suscitato dal grave addebito di tossicità mortale che a suo tempo il Centro Antiveleni dell'Università di Bordeaux ha inflitto ai simpatici "cicalotti gialli" ha avuto un séguito inquietante ma facile da prevedere: alla fine di agosto del 2002 è arrivata la loro 'scomunica' da parte del Ministero della Salute. Tanto tuonò... che piovve.
Foto n. 1: Tricolomi equestri raccolti a suo tempo sull'Altipiano delle Rocche da Gianni Serrecchia, sotto pioppi tremuli al di sopra dei 1000 metri di altitudine (le foto di questo servizio, tranne la n. 5, sono di F. Miccoli).
Foto n. 2: Tricolomi d'Alvernia rinvenuti da Franco Di Ciano in un'abetaia della Maiella, a circa 1200 metri di altitudine.
Il fatto che questo fungo, sebbene raro (e quindi poco conosciuto) perché molto esigente nella scelta dell' habitat, vanti una grande varietà di 'soprannomi' in tutto il mondo, è un chiaro indizio della sua appetibilità: i Francesi lo chiamano jaunet, bidaou o canari (pur senza ignorare la qualifica chevalier), gli Svedesi riddarmusseron, i Giapponesi shimokoshi, gli Statunitensi man on horseback oppure yellow - knight fungus, e chi più ne ha più ne metta. Qui conviene orientare i riflettori sulla sua denominazione scientifica.
Foto n. 3: Turgidi esemplari di Tricholoma equestre reperiti da Felice Marcantonio sui pendii della Maiella in una abetaia al di sopra dei 1000 metri di quota.
Foto n. 4: Tricolomi equestri di latifoglie raccolti dal medesimo Marcantonio sotto pioppi tremuli della Maiella, a circa 800 metri di altitudine.
Foto n. 5: Tricolomi equestri di pioppo tremulo trovati e fotografati da Mario Silvano Mirabelli.
A) La denominazione 'binomiale' Tricholoma equestre
A partire dal Settecento è invalsa la norma, inaugurata dal grande naturalista Carlo Linneo, di designare scientificamente i viventi vegetali e animali con una coppia di nomi, il primo indicante il genere, il secondo la specie.
Il nome generico Tricho-loma fa riferimento al bordo (=gr. loma) peloso del cappello, ma poiché esiste anche il Tricholoma nudum, a cui si aggiungono altri funghi congeneri con cappello molto ben... depilato, il riconoscimento del genere micologico si affida non ai peli ma al 'dentino' con cui soltanto nei tricolomi le lamelle si collegano al gambo formando una sorta di depressione anulare 'a sella' attorno ad esso (se il 'dentino' è eroso la 'sella' può mancare, come nel caso del nostro fungo).
Il nome specifico, equestre, parla da sé, ma non troppo: è stato assegnato al micete in oggetto proprio da Linneo, che però non conosceva ancora il nome generico ora illustrato e pertanto ne usò un altro molto più... generico, Agaricus, proposto col significato tradizionale di "fungo a lamelle". Alla designazione del genere (cioè al 'cognome') Linneo fece seguire l'aggettivo specifico equestris (cioè il 'nome'), che essendo maschile dovrebbe suonare equester e fa sospettare che questa forma (linneana quindi) corretta - equester, appunto - si sia corrotta col passar dei secoli (diverso è il caso dell' Agaricus campestris, stante il fatto che in latino la forma campestris può essere maschile come campester).
B) Incertezze sul significato del nome specifico equestre
Perché mai Linneo abbia designato scientificamente la specie del nostro tricoloma mandandolo... in cavalleria, non è dato sapere con certezza. E' probabile che egli abbia dato per scontato che tutti (anche gli abitanti delle città, in assenza di trams ed automobili) notassero la perfetta somiglianza - anche 'diacronica'! - del colore di detto fungo con quello dello sterco equino, prima biondo-verde e poi beige sempre più scuro con riflessi rossastri (trattasi di un decorso cromatico che è lo stesso delle foglie morenti, fra le quali l'equestre di latifoglie ama mimetizzarsi!). D'altronde non si può escludere che egli facesse riferimento, nello 'specificare' il suo Agaricus, al colore mimetico delle uniformi della cavalleria svedese o di un ordine cavalleresco. La parola agli storici della moda, militare e no; si propende comunque decisamente per la prima spiegazione.
Foto n. 6: Si notino sulla cuticola di questi tricolomi equestri areole di colore più chiaro, che è quello biondo-verdognolo 'nativo', conservato integro dalle foglie depositatesi sul cappello ed appositamente rimosse all'atto della raccolta.
C) Interpretazione corrente (e balorda) del nome specifico in questione
Il gustoso e finora molto ricercato tricoloma, che oggi soffre di un (irreversibile?) infortunio d'immagine, avrebbe la denominazione specifica equestre perché nel Medio Evo era riservato esclusivamente ai signorotti/cavalieri - equites appunto, donde equestre - con rigorosa e severissima esclusione dei bovari, poveri diavoli ai quali - guarda caso! - era dato in pasto il volgarissimo Boletus bovinus. Dunque i cavalieri mangiavano roba da cavalli, i bovari roba da buoi!
In merito a questo scottante argomento si rinvia ad una ormai lontana conferenza tenuta dal sottoscritto presso il Circolo Culturale "Athena" di Francavilla al Mare nel dicembre 2001 e sintetizzata, oltre che in questo Sito, in una lettera pubblicata dalla Rivista "Tempo medico" (Milano, 14 febbraio 2002, a firma anche del dott. G. Aquilone). I due punti di forza di quel discorso erano: 1) la possibilità di un 'qui pro quo' fra il T. equestre - a parte le cantonate degli pseudo-esperti ed eventuali sinonimizzazioni, ad es. con T. flavovirens - ed un suo 'sosia' dalla commestibilità non accertata, ignorato dalla generalità dei micologi e noto col nome di T. arvernense; 2) lo 'scheletro' nell'armadio del porcino, cioè gli stessi effetti 'micidiali' di necrosi muscolare prodotti a suo tempo anche da estratti acquosi del celeberrimo Boletus edulis.
Foto n. 7: Esemplari di Tricholoma arvernense appartenenti (come quelli delle foto 8 e 9) alla raccolta di Franco di Ciano. Si fa presente che tutte le caratteristiche di questo taxon, anche ecologiche e microscopiche, corrispondono pienamente a quelle del fungo d'Alvernia descritte da U. Nonis.
Foto n. 8: Il gambo dell'arvernense è sempre pieno (tranne qualche possibile fessurazione longitudinale), mentre quello dell'equestre talvolta è cavo (forse a causa della sua taglia maggiore).
Foto n. 9: Si noti in questi funghi d'Alvernia l'imbrunimento soprattutto delle lamelle, dovuto a processi di degrado conseguenti ad una conservazione prolungata.
In prosieguo di tempo il legittimo sospetto di ... un sospetto illegittimo nei confronti del fungo d'Alvernia (che forse è commestibile), ha aperto la legittima strada ad una ulteriore ipotesi di lavoro, che non chiama in causa l'arvernense e di cui è stato informato per conoscenza il Ministro della Salute: in una lettera del 20 giugno 2002 gli è stata segnalata dal sottoscritto la cicuta minore (Aethusa cynapium, micidiale 'sorellina' dell'altrettanto venefica cicuta maggiore, Conium maculatum) che notoriamente può crescere negli orti frammista al 'fratello' prezzemolo (condimento tradizionale dei funghi) e il cui ingerimento - guarda caso! - provoca la medesima necrosi muscolare, rabdomiolisi, addebitata al povero 'cicalotto giallo' (l'équipe di Bordeaux è forse a conoscenza di questa peculiarità, ma la elude elegantemente ed infierisce sull'equestre "although mushroom poisoning is not known to produce rhabdomyolysis").
Foto n. 10: Cicuta minore (a sinistra) affiancata al prezzemolo, da cui non è facile distinguerla (del resto anche gli steli del petroselinum sono tossici, come ben sanno le donne che vogliono abortire in maniera 'artigianale'). E' notorio che in Francia, soprattutto nelle terre montuose sud-occidentali, la raccolta di erbe selvatiche a scopo alimentare è una prassi molto diffusa tra la gente comune.
Nella medesima lettera è stata sottolineata la linea per così dire omissiva dei procedimenti scientifici dell'équipe di Bordeaux, quali risultano dall'esame diretto del testo integrale diffuso dal "New England Journal": fra l'altro la precisazione che "specimens of T. equestre collected in southwestern France were identified by qualified mycologists" significa solo che il T. equestre nasce e cresce anche in quel di Bordeaux e che anche lì esistono micologi in grado di identificarlo (ecco il nome del principale determinatore:
Gérard Deffieux, che però è parte in causa in quanto membro dell'équipe burdigalense), non significa certo che detto tricoloma debba essere imputato di assassinio, stante il fatto che il 'principio' tossico del medesimo è del tutto sconosciuto ("it remains to be identified"!); e ciò dovrebbe obbligare, in sede di metodo scientifico e soprattutto di buon senso, a considerarlo inesistente, visto che per secoli non si è mai fatto vivo e non ha mai fatto morti, nonostante le tonnellate di 'cicalotti' divorati da milioni di persone.
Il fatto che - a differenza di estratti di T. equestre - "extracts" di Pleurotus ostreatus siano stati introdotti senza effetti dannosi nello stomaco di topi non pregiudica minimamente la commestibilità sostanziale dell'equestre, ma dimostra soltanto che l'ottimo 'gelone' è commestibile anche da crudo, come lo sono pochissime specie fungine, mentre non lo sono molti funghi pregiatissimi, e qui non si punta l'indice soltanto contro le spugnole, che da crude sono velenose (non semplicemente e genericamente tossiche): se infatti, com'è auspicabile, si facesse un esperimento analogo di intubazione su topi o cavie con estratti di funghi commestibili come la famigliola buona, preferibilmente adulta, si sia pur certi che al paragone (synkrisis, dicevano i Greci antichi) l'equestre tornerebbe immediatamente ad essere uno dei pochi fiori all'occhiello della gastronomia.
Foto n. 11: Ecco due spugnole 'sorelle' - Morchella rotunda (a sinistra) e Morchella vulgaris -, funghi primaverili molto pregiati ma velenosi da crudi.
La predisposizione genetica alla 'rabdomiolisi da equestre', evocata da più parti a titolo di accanimento 'mico-giudiziario', è un comodo alibi di compromesso, un 'teorema' da 'gioco delle tre carte'. Se si dovesse darle credito, si sarebbe costretti, per coerenza, ad escludere dalle nostre mense tutti i funghi esistenti, non soltanto il beneamato (e già pregiudicato) porcino: la disavventura toccata al 'cicalotto giallo' dopo oltre 50 lustri di onorata carriera gastronomica, potrebbe colpire da un momento all'altro qualunque micete, compresa l'Amanita caesarea, che è il fungo più pregiato del mondo.
Foto n. 12: Esemplari di Amanita caesarea.
Raffaele Di Virgilio